Quando San Pietro non c’era

Per questo lungo week-end ci spostiamo a Roma, alla scoperta dei luoghi della cristianità, prima che diventassero tali.
Le catacombe di Domitilla

Se con una sorta, di "macchina del tempo" potessimo trasferirci nella Roma cristiana degli inizi del terzo secolo, rimarremmo forse delusi qualora ci aspettassimo tracce visibili, esteriori, della presenza della Chiesa. Non una sede papale al Laterano, ancora prematura. E neppure edifici legati al nuovo culto: sono di là da venire, infatti, le grandi basiliche a custodia delle tombe apostoliche, o quelle "a forma di circo" (luogo di sepolture e riti funerari o refrigeria), tipiche di un cristianesimo divenuto ormai, con Costantino, "religione di Stato".

 

Bisogna uscire dalle mura Aureliane per trovare – ai lati delle vie consolari – i primi cimiteri comunitari gestiti dalla Chiesa, ma a questi spazi sotterranei {anche se non mancano quelli "sotto il cielo") dirigeremo più tardi i nostri passi.

I cristiani invece li troviamo sparsi un po’ dovunque nell’Urbe sovraffollata e ancora prevalentemente pagana. Sono diversi per etnie, provenienza sociale (vi sono schiavi e liberti, ma anche membri influenti dell’aristocrazia senatoria ed equestre), per tradizioni e mentalità.

 

Caratteristica loro è la riservatezza, per non urtare la suscettibilità degli ambienti ostili. Anche per questo – in mancanza di edifìci appositi consentiti dalle autorità – si incontrano nelle case messe a disposizione da alcuni di loro, divenuti e "patroni" di singoli gruppi, essendo peraltro viva la consapevolezza di appartenere all’unico corpo di Cristo Non poche di queste "chiese domestiche" si trasformeranno in veri e propri edifici di culto, a perpetuare lungo i secoli i luoghi di riunione delle primitive comunità. Sinora, sotto la guida di vescovi scelti dall’assemblea dei fedeli e coadiuvati da diaconi – tale la sua struttura fin dalla fine del primo secolo -, la Chiesa di Roma ha registrato una crescita costante pur tra vicissitudini interne ed esterne. Lo stesso suo prestigio è crescente: promuove la comunione con le altre comunità sparse nell’Impero tramite lettere e collette a favore degli indigenti, e non manca di intervenire per risolvere que’tioni spinose, da vera "presidente della carità". E con una fisionomia sempre più stagliata; non certo quella elitaria, selettiva, vagheggiata da alcuni rigoristi, ma al contrario aperta, variegata, popolare, secondo l’immagine – verrebbe da dire – dell’Arca di Noè, che accolse senza differenze animali "puri” e "impuri.

 

Se poi andiamo cercando il luogo d’origine di questa comunità, basta spostarci a Trastevere, quartiere al di là del fiume dedito ai commerci e sede da tempo di una fiorente comunità giudaica. Qui, prevalentemente, hanno operato i primi testimoni della nuova fede, suscitando seguaci a Cristo. Si capisce perciò come l’influenza giudaica, con i suoi modelli organizzativi e culturali, non sia sta scarsa ai primordi di questa Chiesa, come risulta dalla stessa organizzazione gerarchica colle-giale. Ora però ha prevalso l’ordinamento episcopale "monarchico", che siriallaccia alla tradizione di Paolo apostolo.Trasteverino è fra l’altro quel diacono Callisto (un ex schiavo) che, preposto dall’attuale papa Zefirino alla gestione del primo cimitero comunitario, gli succederà alla guida della Chiesa: la sua casa natale dove subirà il martirio, trasformata in "chiesa domestica", sarà il primo centro di culto cristiano a Roma.

 

E visto che vi abbiamo accennato, vediamo cosa ne è delle memorie di coloro che questa Chiesa hanno fondato.

Se, per rendere omaggio a Pietro, ci portiamo nella parte est del colle Vaticano, luogo del suo martirio avvenuto nel 64 sotto Nerone, fra centinaia di tombe pagane allineate lungo la via Corne-lia ci imbattiamo in una semplice edicola oggetto di grande venerazione: è il cosiddetto "trofeo di Gaio", dal nome del prete che per primo ne fa menzione. Quanto alla tomba di Paolo, lui pure martire durante la stessa persecuzione, la troviamo lungo la via-Ostiense, sotto forma anch’essa di, piccolo mausoleo (il secondo "trofeo" citato da Gàio).

Non è ancora celebrata, invece, la "memoria" congiunta dei due apostoli: lo sarà in seguito al terzo miglio della via Appia, in un’area cimiteriale ricavata da una cava di pozzolana. Né ha preso forma quei culto dei martiri che nei secoli venturi caratterizzerà la religiosità della Chiesa romana.

 

Nelle catacombe, per motivi pratici, la religione della "luce" ha dovuto venire a patti col buio del sottosuolo; senza però rinunciare ad ogni espediente utile a captare la minima vibrazione luminosa: dagli intonaci bianchi alle migliaia di lumi che palpitano in questa rete di gallerie, ai lucernari, ai frammenti di vetro inseriti, anche come contrassegno, nella calce che suggella le sepolture.

 

Il nostro itinerario immaginario termina qui dove, in realtà, aleggia la speranza di un nuovo inizio: l’attesa resurrezione.


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