Quando la crisi economica uccide

Nel 2010 si sono suicidati 362 disoccupati.Nei primi mesi del 2012 sono già più di venti gli imprenditori che si sono tolti la vita. Quando la mancanza di lavoro rischia di uccidere anche la speranza
La povertà per le strade di Atene

Sopravvivere alla crisi economica si può. Anzi, si deve. Ma come si può allontanare la disperazione che assale chi non riesce a trovare un lavoro o chi lo perde? E come si può frenare l’allarmante aumento di suicidi che si sta registrando in Italia?

I dati parlano chiaro: nel nostro Paese si muore sempre più di disperazione. Certo, ha sottolineato il premier Monti nei giorni scorsi, i livelli della Grecia (con circa 1.800 suicidi registrati dall’inizio dell’anno) sono lontani, ma la situazione non va sottovalutata. I numeri, del resto, fanno tremare i polsi. È dal 2009, anno in cui è scoppiata la crisi, che – si legge nel rapporto dell’Istituto di Ricerche economiche e sociali Eures – i suicidi sono in aumento. Nel solo 2010, addirittura, si è tolto la vita quasi un disoccupato al giorno. Disperata anche la situazione di molti imprenditori: nei primi quattro mesi del 2012 si sono tolti la vita in 24. Ma come frenare quest’ondata di impotenza e disperazione che sta colpendo anche gli ottimisti italiani?

A Porto Garibaldi, nel comune di Comacchio in provincia di Ferrara, un pescatore sommerso dai debiti ha cercato di impiccarsi a bordo del suo piccolo peschereccio. Alcuni colleghi lo hanno visto e, raggiungendolo in pochi istanti, lo hanno salvato. Un salvataggio che è andato oltre la tragidcità del momento, visto che i pescatori sono riusciti a donargli, con una colletta, 10 mila euro, proprio quanto gli serviva per i debiti più urgenti.

Anche nel Nordest sono in tanti a mobilitarsi per evitare che quella che era la culla delle piccole imprese italiane possa diventarne anche la tomba. Stando ai dati diffusi dalla Cgia di Mestre, dal 2008 al 2010 i suicidi e i tentativi di suicidi sono cresciuti di circa il 20 per cento. Dall’inizio dell’anno, solo nel Veneto, sono già una decina i piccoli imprenditori che non sono sopravvissuti alla disperazione. Ma allora cosa fare?

A Padova, la Camera di commercio ha istituito già dal 2010 un numero verde anticrisi (800510052) per gli imprenditori in difficoltà. Nella provincia padovana, a Vigonza, c'è l’associazione familiari di imprenditori suicidi. A Treviso è invece nato, dallo scorso mese di marzo, il progetto Penelope, che raccoglie intorno alla Caritas diocesana, vero motore dell’operazione, associazioni professionali e la fondazione Banche di credito cooperativo. Il promotore di quest’opera di “tessitura” che intende avvolgere con atti di solidarietà concreta chi si trova in difficoltà, è il direttore della Caritas tarvisina, don Davide Schiavon. Dal punto di vista tecnico, quando una persona chiede aiuto al centro di ascolto (che è stato aperto a febbraio) viene seguita dagli operatori e dalle associazioni di categoria. Il primo passo è cercare di capire se l’azienda può riprendersi, magari con un piccolo aiuto della Fondazione Bcc o il ricorso ad altri fondi. In caso contrario si valuta la professionalità dell’imprenditore, per cercare di ricollocarlo in qualche altra realtà. Se l’azienda fallisce, si valuteranno infine altre possibilità lavorative. «Contemporaneamente – spiega don Schiavon – la comunità deve prendersi cura di queste persone, aiutandole a ricostruire la propria vita e a trovare un senso per andare avanti».

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