Quando il mercato libera le persone

Perché Antonio Genovesi è quanto mai attuale nell’Italia odierna? La risposta di Luigino Bruni, ordinario di Economia politica alla Lumsa di Roma, alle domande di un lettore
Lavoro in sartoria

A commento dell’articolo di Luigino Bruni sull’attualità del pensiero di Antonio Genovesi nel contesto attuale della crisi economica, un nostro lettore, Luigi Piccirilli, ha scritto: «In questi giorni può l’imprenditore creare posti di lavoro, produrre, rispettare l’ambiente in maniera “civile”, può l’operatore far nascere “pubblica felicità”, può il genio Italiano esprimersi fra forze di un mercato lasciato completamente libero? Possono le ipotesi di Genovesi realizzarsi senza un minimo sostegno dello Stato alla domanda? Posso capire Smith e Genovesi che vissero nel XVIII secolo quando re, baroni e duchi parassitavano gli operatori economici. Meglio il libero mercato di un continuo ed immotivato salasso. Ma nel terzo millennio lo Stato ha una funzione diversa. Ripeto il mio grosso dubbio. Può l’operatore economico di Genovesi aver successo in presenza di politiche economiche di austerità. Può il nostro cittadino creare “pubblica felicità” dopo che i nostri politici ci hanno condannato a 20 anni di fiscal compact?».

Così risponde Luigino Bruni, professore ordinario di Economia politica alla Lumsa di Roma e tra i pensatori contemporanei più attivi dell’economia civile.

«È evidente che il mondo di Genovesi e di Smith era diverso dal nostro, sebbene non troppo: loro come noi si trovavano di fronte ad una rivoluzione di portata epocale: loro, l'aurora della rivoluzione commerciale ed illuminista europea che stava creando problemi sociali ed etici nuovi, facendo crollare vecchie élite e facendone nascere di nuove; noi la globalizzazione che sta cambiando radicalmente etica sociale ed economica, con nuovi equilibri geopolitici ed economici.

«Loro, come noi, cercavano nuovi paradigmi per la nuova economia. Occorre quindi tornare oggi alle "domande" di Genovesi, non tanto alle sue "risposte", domande che conservano la loro radicalità. Queste domande antiche-nuove sono: (1) Dove partire per una riforma dell'Italia (grande domanda di Genovesi e degli illuministi)? (2) Quando il mercato produce bene comune e quando male? (3) Come possiamo far sì che l'uomo "qual è" possa portare buoni frutti alla vita civile?

«Le risposte di Genovesi erano:

1. occorre riformare la scuola, e quindi la mentalità dei giovani. Genovesi iniziò (primo in Italia) a insegnare filosofia in italiano e non in latino; a far partire scuole popolari e itineranti per contadini (sulla conservazione del grano), a riformare le istituzioni scolastiche con le istituzioni di scuole tecniche e professionali (e non solo di licei). Vecchie questioni?

2. Il mercato è buono quando libera le persone dai padroni feudali creando lavoro, quando fa muovere la società e riduce le rendite, quando crea legami tra persone che non si sarebbero mai incontrate. È cattivo quando la finanza specula e basta (si occupò molto di usura di moneta), quando prevale lo spirito di conquista e non la mutua assistenza (famosa è una sua polemica a distanza con Montesquieu su questo). Vecchie risposte?

3.Per far sì che dalle azioni umane, che sono di vario tipo (altruistiche e egoistiche) vengano buoni frutti, occorre agire su buone istituzioni, su buone leggi, e riformando la proprietà dando la terra ai piccoli proprietari (togliendola ai redditieri). In particolare non basta punire i cattivi, occorre anche premiare gli onesti, come diceva prima Genovesi e poi il suo discepolo Giacinto Dragonetti. Nemmeno questo mi sembrano domande antiche e superate.

«Lo Stato e la politica possono far tanto, quindi, ma, come diceva sempre il Nostro, occorre sempre partire dalla gente, dalla loro morale, dai loro valori e dalle loro scelte: "Io sono oramai vecchio, né spero o pretendo nulla più dalla terra. Il mio fine sarebbe di vedere se potessi lasciare i miei Italiani un poco più illuminati che non gli ho trovati venendovi, e anche un poco meglio affetti alla virtù, la quale sola può essere la vera madre d’ogni bene. È inutile di pensare ad arte, commercio, a governo, se non si pensa di riformar la morale. Finché gli uomini troveranno il lor conto ad essere birbi, non bisogna aspettar gran cosa dalle fatiche metodiche. N’ho troppo esperienza"».

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