Processo al Caravaggio

Il 20 febbraio a Palazzo Venezia storici dell’arte italiani e stranieri si sono riuniti per confrontarsi sul clamoroso caso del sant’Agostino Giustiniani attribuito al Merisi
S. Agostino nello studio

«Un quadro d'una mezza figura di Sant'Agostino depinto in tela alta palmi 5. e 1/2 e larga 4. 1/2 incirca di mano di Michelangelo da Caravaggio con sua cornice negra». Questa la "prova regina" che aveva inchiodato quasi un anno fa l’artista lombardo facendo gridare al miracolo opinione pubblica e mondo dell’arte. Il quadro, un Sant’Agostino nello studio rinvenuto presso un collezionista spagnolo, era stato infatti identificato dalla massima esperta della collezione Giustiniani, la studiosa Silvia Danesi Squarzina, con il dipinto menzionato nell’inventario del 1638 del famoso casato romano. Complice l’attenzione riservatale dal Domenicale del Sole 24ore del 12 giugno che aveva dedicato alla notizia copertina e titolo che lasciavano pochi dubbi: “Guardate, c’è un nuovo Caravaggio!”
 
Da quel dì, ironia della sorte, per Michelangelo Merisi si è aperto un nuovo processo. Meno gravoso di quello del 1608 a Malta e dai connotati molto più “mediatici”. Possibile che sia di sua mano il quadro dipinto ad olio, con tela di imperatore menzionato in tutti gli inventari Giustiniani dal 1638 fino alla vendita avvenuta fra il 1857 e il 1862?
 
Sbolliti i primi clamori e dopo l’esposizione del quadro nella mostra Roma ai tempi di Caravaggio – tutt’ora in corso –, se n’è parlato il 20 febbraio in una storica tavola rotonda a Palazzo Venezia. Grandi i nomi della storia dell’arte moderna presenti: dal soprintendente al Polo museale romano Rossella Vodret a Vittorio Sgarbi, da Alessandro Zuccari ad Ursula Fischer Pace. Un processo in piena regola, dunque, in tutte le sue  componenti, con le tesi a sostengno della “prestigiosa” attribuzione della prof. ssa Squarzina e della Vodret – il quadro sarebbe il pendant del S. Girolamo di Monserrat –, al supporto delle indagini riflettografiche e macrofotografiche di Giovanni Falcucci che hanno stabilito una «compatibilità con opere di Caravaggio precedenti al Seicento», ma inchiodate alla limitatezza dei raffronti con altre opere di artisti a lui vicini, fino alle incursioni nei modi di rappresentare il santo con Alessandro Cosma e Gianni Pittiglio, curatori del primo dei volumi sull’Iconografia agostiniana dell’Opera Omnia di Città Nuova.

Nonostante tutto questo sommovimento, l’attribuzione del Sant’Agostino Giustiniani scricchiola. Molti sono ancora «gli enigmi caravaggeschi», gli indizi che  escluderebbero, per altre vie che si tratti del Merisi. Innanzitutto da un punto di vista stilistico. Sgarbi – che non aveva esitato l’indomani dell’articolo di Carminati sul Sole 24ore  a replicare –, vi legge: «Un’opera di Seicento avanzato non ascrivibile ai dettami della forza espressiva di Caravaggio». Troppo “freddi” i tocchi della barba, degli occhi e delle mani se messi a confronto con le opere del maestro lombardo. Non regge poi lo sfondo scuro con una libreria poco ariosa. Dubbi permangono anche sugli stessi dati archivistici rivenuti, semplicemente «perché non rappresentano un dogma» per Zuccari. E tra i nomi “passibili” di attribuzione si è fatto largo quello di Giacinto Gimignani, artista pistoiese di maniera, ma che non ebbe mai un periodo caravaggesco. Oscillazioni sottili che in realtà scagionano o imprigionano Caravaggio a S. Agostino ancor poco convincente.
 
E forse stavolta il Merisi potrebbe effettivamente non entrarci nulla e a finire sotto processo, per lo storico dell’arte maltese Keith Sciberras «potrebbero essere gli studi compiuti fino ad oggi su di lui». Ad un bivio, e forse, con un Caravaggio di troppo. 

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