Primo passo la Confederations Cup

A un anno dai Mndiali il Paese attraversa una fase delicata
Proteste di fronte al Maracana Stadium

A un anno dai Mondiali di calcio, il Brasile è un Paese in rivolta. E poco importa (relativamente poco, s’intende: trattasi sempre della culla del futebol) se la Nazionale verdeoro si è appena aggiudicata la Confederations Cup. Qui le preoccupazioni sono altre, e non hanno nulla a che vedere con un pallone e un rettangolo verde.

Le manifestazioni di massa, scoppiate non a caso durante l’evento-test in vista della Copa (come la chiamano da queste parti), hanno riportato alla ribalta un problema endemico del grande Paese sudamericano – la disuguaglianza sociale – e ne hanno messi in luce altri, forse un po’ ignorati all’estero. Perché non basta essere la sesta economia del mondo, e non basta nemmeno ricordare la vertiginosa crescita della classe media (frutto delle politiche del governo Lula), se il settore pubblico – educazione, sanità e trasporto in particolare – resta di livello piuttosto scadente. A meno che, ma non è il caso della maggioranza della popolazione, ci si affidi al privato. In Brasile, insomma, non tutti hanno le stesse possibilità.

La scuola pubblica, a livello di strutture e di insegnamento, non offre garanzie di apprendimento paragonabili a quelle di altri Paesi, e non a caso chi può iscrive i propri figli agli eleganti collegi finanziati da fondazioni private, principalmente legate alla Chiesa cattolica o evangelica. Stesso discorso per quanto riguarda il settore della sanità, che soffre (è proprio il caso di usare questo verbo) dell’influenza nordamericana: no money no party, ma le assicurazioni mediche costano, e in tanti non se le possono permettere. Per non parlare del trasporto pubblico, caro e non certo efficientissimo, con la metropolitana che – ad esempio – è prerogativa di pochissime città.

Ma il problema dell’inclusione sociale, ancora lungi dal potersi definire risolto, non è il solo ad aver portato all’esasperazione il popolo brasiliano. I numerosi scandali che negli ultimi anni hanno funestato la vita politica nazionale – dal Mensalão in avanti – non sono certo dimenticati, ed è singolare il fatto che uno dei parlamentari più apprezzati, che più condannano un sistema corrotto in tante delle sue componenti, sia un ex calciatore: Romario.

Del resto, il calcio resta una delle principali passioni dei brasiliani. Lo si nota nella programmazione dei canali sportivi nazionali, nelle decine di partite trasmesse ogni settimana, nelle chiacchiere da bar sport che si susseguono in tv, alla radio, su Internet. Nelle due settimane di Confederations Cup, ad esempio, il telegiornale delle 20.30 di Rede Globo (il principale canale televisivo brasiliano) ha sempre dedicato circa metà della sua scaletta alla manifestazione calcistica in corso, pur se nelle varie città si sfiorava la guerriglia.

Il popolo, però, pare essersi svegliato, come cantano gli stessi protagonisti delle proteste («O povo acordou») scendendo in piazza, marciando lungo le grandi avenidas, “bivaccando” davanti ai palazzi del potere. E il popolo proprio non può accettare che si investano enormi quantità di denaro in infrastrutture che, a fine Coppa del Mondo, potrebbero rivelarsi sostanzialmente inutili. La ricostruzione dello stadio “Mané Garrincha” di Brasilia, ad esempio, è costata un miliardo e duecento milioni di reais (oltre 400 milioni di euro), investimento obiettivamente inaccettabile per una città praticamente priva di club di alto livello, a meno che non si consideri la Serie C brasiliana un campionato di prim’ordine.

Ma se il governo di Brasilia saprà far proprie le ragioni dei manifestanti, potremmo trovarci alla vigilia di un momento storico per il Paese sudamericano. Qualcosa pare stia già iniziando a cambiare, perché la stessa presidente Dilma Rousseff ha speso parole importanti (e non solo quelle) in favore dei manifestanti. Adesso, forse, sarebbe il caso di interrompere le proteste – sfociate spesso e volentieri in vandalismi e violenze – e lasciar lavorare chi di dovere. Fra qualche mese, poi, sarà il tempo di valutare gli eventuali progressi: se saranno paragonabili a quelli mostrati negli ultimi tempi dalla Nazionale di Felipe Scolari, allora da qui in avanti il Brasile sarà davvero una nazione guida, e non solo nel futebol.

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