Prima degli Inca

In Bolivia, alla scoperta delle testimonianze di una delle più avanzate civiltà americane, la cui eredità è ancor oggi percepibile nel popolo di quel Paese
tiwanaka

Tra ori, argenti, ceramiche, tessuti, sculture in pietra e in osso e importanti stele litiche, si rimane strabiliati ammirando i reperti custoditi nel Museo nazionale di archeologia e nel Museo di metalli preziosi di La Paz: oggetti della vita quotidiana e del culto, testimonianze raffinate di una società fortemente integrata in tutte le sue componenti, dove non aveva posto un’“arte individuale. Affascinanti – tra le altre – le opere scultoree, per il simbolismo che promana da esse, la forte stilizzazione e l’aura vagamente “cubista” di alcune.

 

Il visitatore è condotto in un viaggio nel tempo, alla scoperta di una incredibile civiltà – quella Tiwanaku – che ricorda, fra l’altro, quella egizia per le tecniche di mummificazione dei defunti, per il culto solare e per l’architettura piramidale dei suoi templi.Di che si tratta?

 

Nel variegato quadro latinoamericano, la Bolivia è certamente tra le nazioni più multietniche di quel continente, erede di un illustre passato le cui tracce – nonostante i trascorsi coloniali, la dipendenza da un’economia e una logica occidentali, e il nuovo ordine “globale” che va assumendo il pianeta – sono ancora evidenti.

È quanto risulta, ad esempio, dallo stesso antico idioma aymara parlato da tre milioni e mezzo di indigeni su quasi otto milioni di boliviani; dalla concezione dualistica del mondo (distinzione tra “sacro” e “profano”) tuttora vigente nell’organizzazione politica degli attuali ayllu; dalla percezione della realtà composta da tre piani (del cielo, della natura e dell’uomo, intermediario fra essi): un fenomeno comune nelle zone rurali e presente anche in vasti strati della società urbanizzata.

 
Riti antichissimi si perpetuano inoltre non solo in zone a forte presenza indigena ma perfino negli agglomerati urbani, fra ceti non esclusivamente popolari. E nelle campagne gli antichi manufatti tessili detti waka sono tuttora oggetto di venerazione da parte degli indios.
Questo ed altro ancora dice quanto nei costumi e nella concezione di vita delle popolazioni boliviane sopravvivano le loro più remote radici.

Sì, ma di quale passato si tratta? Abitualmente ci si rifà agli inca, tralasciando il riferimento ad una civiltà anteriore dalla quale invece presero avvio tutte le culture andine successive, compresa la stessa civiltà incaica. I miti, anzi, indicherebbero in quella il luogo d’origine del genere umano, in seguito a un diluvio, evento catastrofico ricorrente anche presso altri antichi popoli.

Parlo di Tiwanaku (o Tiahuanaco), la cultura più influente e duratura di tutto l’emisfero sud del pianeta, sviluppatasi sull’altipiano boliviano, a 4000 metri di altitudine, fra i due bracci della Cordigliera delle Ande.

Il suo inizio fu contemporaneo a quello dell’Impero romano (le prime tracce però risalgono ben più addietro nel tempo) e il suo momento di maggior splendore coincise con l’Impero bizantino, l’Islam di Maometto e l’epoca Suy, Tang e Sung della Cina; la sua fine, invece, con l’avvento delle civiltà inca e maya in Mesoamerica e con l’Impero di Gengis Khan in Asia. 

 

Tiwanaku nacque parallelamente ad altre civiltà nei dintorni di quel lago Titicaca considerato origine della vita e perciò venerato come “sacro”; ma, a differenza di quelle, crebbe gradualmente sino a convertirsi in una abbagliante città-stato, ricca di monumentali costruzioni; città ritenuta dai suoi abitanti centro fisico e simbolico del mondo allora conosciuto, riproduzione terrena dell’ordine cosmico. Tra il IV e il l’VIII secolo della nostra era, all’apice del suo splendore, lo stato di Tiwanaku comprendeva gran parte della Bolivia, il nord dell’Argentina e il litorale Pacifico, oltre che una porzione delle catene montuose del Perù.

Su questo immenso territorio esso esercitò – un po’ come l’antica Grecia, cultura-madre dell’occidente – una forte egemonia soprattutto in termini ideologici, di visione cosmica, non essendo una società militarizzata; laddove la successiva civiltà incaica, contraddistinta da un apparato politico-militare e da un regime espansionista, può essere paragonata all’Impero romano.

L’economia tiwanakota si basava, principalmente, sulla pesca, sulla coltivazione dei cereali e della patata (di questa si producevano più di duecento varietà) e sull’allevamento del lama e dell’alpaca.

 

Società essenzialmente agricola, basata sul lavoro collettivo della terra, per adeguarsi ad un habitat caratterizzato da una geografia accidentata e da bruschi sbalzi climatici, aveva “inventato” le takana, terrazze di coltivazione per sfruttare i terreni in forte pendenza, e i sukakollo, campi sopraelevati che consentivano microclimi adatti alla crescita controllata delle piantagioni ed evitavano i danni provocati dalle repentine gelate. Questi e quelle forniti di ingegnosi impianti di irrigazione.
E a proposito di sukakollo: esperimenti produttivi condotti di recente con questa tecnica hanno consentito raccolte record di patate, con tuberi che superavano i 900 grammi di peso!

A questo progredito sistema agricolo, oltre che ad una perfetta organizzazione sociale, si deve il successo di Tiwanaku; così come lo smantellamento di tale sistema, dovuto forse a un catastrofico cambio climatico, avrebbe causato dopo oltre due millenni il suo tramonto come stato. Ma qualcosa sopravvisse se gli elementi più vitali di questa cultura furono fermento dei popoli che si succedettero all’ombra della Cordigliera, primi tra tutti gli inca, giungendo fino ai giorni nostri.

 

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