Premio contro il nucleare

L’accademia di Oslo ha assegnato il celebre riconoscimento alla Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican) che riunisce oltre 400 organizzazioni non governative che nei rispettivi Paesi lavorano contro la proliferazione degli arsenali nucleari

La sigla che contraddistingue il vincitore del premio Nobel per la pace 2017 non è particolarmente alla ribalta dei grandi media, eppure il suo lavoro negli ultimi 10 anni ha consentito di accelerare la firma di un trattato internazionale che impegna i Paesi sottoscrittori a non utilizzare armi nucleari e a non effettuare esperimenti in questo campo. L’Ican (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) ha attirato l’attenzione dell’Accademia di Oslo proprio per gli studi sulle conseguenze catastrofiche che l’uso delle armi nucleari avrebbe sui popoli e sulle nazioni. Fondata in Australia nel 2007 da ex premi Nobel e da medici che lavorano alla prevenzione dei conflitti nucleari, riunisce 468 organizzazioni non governative, 5 anche italiane, di 101 Paesi e ha sede negli uffici del Consiglio mondiale delle Chiese, a Ginevra. L’assegnazione del Nobel per la pace non premia solo il lavoro di questa rete di associazioni, ma lancia pure un monito alla comunità internazionale sulle minacce crescenti di una crisi nucleare soprattutto dopo la prova di forza tra il presidente degli Stati Uniti e quello della Corea del Nord e mentre l’accordo sul nucleare iraniano sembra essere tornato in bilico.

Il lavoro di tessitura dell’Ican ha avuto un riconoscimento anche all’Assemblea generale delle Nazioni Unite che, lo scorso settembre, ha dedicato una sessione speciale alla proliferazione delle armi nucleari e al trattato per il bando totale degli esperimenti nucleari (Ctbt) che, dopo 20 anni, non riesce ad entrare pienamente in vigore perché non tutti gli Stati lo hanno sottoscritto e chi lo ha fatto non lo ha ratificato. India, Pakistan e Corea del Nord, sono tra i non firmatari, mentre Stati Uniti, Cina, Gran Bretagna, Russia, Egitto, Iran, Israele e Indonesia non hanno ancora proceduto alla ratifica assieme ad altri 35 Paesi giudicati a capacità nucleare avanzata. Sono invece 120 gli Stati che vi hanno aderito. Tra gli ultimi anche il Vaticano.

Il comitato per il Nobel è consapevole che aderire al trattato non significa di per sé eliminare le armi, ma la consegna del premio è un richiamo agli Stati inadempienti ad avviare seri negoziati per eliminare le testate nucleari ancora presenti nei loro arsenali: circa 15 mila. Sull’assegnazione del Nobel, come già detto, ha inciso certamente la crisi nord-coreana. La belligeranza del suo leader che ha testato durante l’anno diversi missili intercontinentali e armi nucleari ha scatenato una guerra di parole minacciose con il presidente Usa, per ora tenuta sotto controllo dalle rispettive diplomazie e monitorata attentamente dall’Onu.

Altro punto a favore dell’Ican è stato giocato dall’incertezza che grava sull’accordo con l’Iran sulla limitazione del suo programma nucleare. Trump ha annunciato che il prossimo 15 ottobre probabilmente non riconoscerà l’accordo siglato dalla precedente amministrazione: una prova di forza per costringere il governo iraniano a non sostenere gruppi come Hezbollah e Hamas che la Casa Bianca ritiene organizzazioni terroristiche. L’accordo era stato sottoscritto da altri 5 Paesi tra cui anche Germania, Francia e Regno Unito, che potrebbero far sentire la loro voce e far retrocedere il presidente americano. Anche la Russia è nel mirino dell’Ican, perché negli ultimi anni è tornata ad investire su una nuova generazione di bombardieri a lungo raggio, missili balistici e sommergibili nucleari.

«Viviamo in un mondo in cui il rischio di utilizzare armi nucleari è maggiore di quanto sia stato nel passato – ha detto il comitato del Nobel –. Alcuni Stati stanno modernizzando i loro arsenali nucleari e c’è un pericolo reale che altri Paesi cerchino di procurarsi armi nucleari»; per questo la consegna del premio vorrebbe fungere da deterrente ed è una scelta periodica dell’accademia svedese che si trova ad assegnare per la quinta volta un premio ad organizzazioni che lavorano contro il nucleare.

«Le armi nucleari non possono creare un mondo stabile e offrono un falso senso di sicurezza. La pace e la stabilità internazionale non possono essere fondati sulla distruzione reciproca o sulle minacce di annientamento»,

era il messaggio che papa Francesco aveva fatto giungere attraverso l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario della Santa Sede per le relazioni con gli Stati, alla decima conferenza sul “Bando totale degli esperimenti nucleari”. La pace ha ben altre radici e anche questo Nobel ce lo ricorda ogni anno.

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