Politica ed economia, è tempo di collaborare

Veniamo da un lunga crisi economica, con il debito pubblico alle stelle, la forte disoccupazione, la povertà in crescita. C’è voglia di cambiamento, ma urlare non serve e diventa controproducente per tutti. Un'opinione.

Gli effetti della crisi del 2008 sono stati particolarmente pesanti per l’Italia, indebolita dal debito pubblico già troppo elevato. Il Prodotto interno lordo all’inizio è crollato dell’8%; poi, dopo una breve risalita, è caduto ancora più in giù, fino a quota “meno 10%” rispetto al livello pre-crisi, per poi recuperare lentamente fino ad arrivare a quota “meno 5%”. A titolo di confronto, il Pil della Germania nel 2018 è a quota + 12% rispetto al valore pre-crisi, mentre la Francia e la pur tormentata Spagna si trovano rispettivamente a quota +8% e + 2%.

Nell’ultimo decennio, poi, la disoccupazione giovanile italiana ha raggiunto il 43% e, nonostante la discesa degli ultimi quattro anni, è ancora al 30%. Siccome, poi, i costi della crisi non sono mai equamente suddivisi, nel decennio la povertà assoluta ha continuato a crescere, dal 3,9% ad un preoccupante 8,3% delle famiglie italiane.

Si comprende allora la voglia di cambiare di tanti elettori, che si è chiaramente espressa nelle elezioni politiche del marzo scorso. Guardando a quanto è avvenuto, balzano agli occhi due meccanismi. In primo luogo, si intercetta meglio la voglia di cambiare se si promettono le trasformazioni più rapide e la discontinuità più totale con il passato, nonostante che in genere per migliorare davvero occorrano anni di impegno progressivo e paziente, e che molti dei problemi del passato si ripresenteranno anche ai nuovi governanti.

In secondo luogo, pare proprio che i consensi aumentino se si lanciano parole forti, di disprezzo o di dileggio, non solo verso gli esponenti dei governi precedenti, ma anche verso chiunque altro, persone o istituzioni, rappresenti in qualche modo un ostacolo alla realizzazione di quelle promesse. È evidente, però, che poi il governo non potrà godere di molta fiducia da parte di quelle persone e di quelle istituzioni con le quali si troverà a dover collaborare.

Quello che sta mettendo in seria difficoltà l’economia italiana è l’effetto combinato proprio di questi due meccanismi: per tener fede alle promesse il governo si trova a spingere l’indebitamento fino al limite di guardia, se non addirittura oltre; e la violenta campagna verbale contro i mercati finanziari e le istituzioni europee aumenta ulteriormente l’allarme, non solo di tutti costoro, ma anche di molti normali investitori e risparmiatori.

La conseguenza è che il tanto sbandierato rilancio dell’attività economica che la manovra dovrebbe assicurare – e del cui verificarsi ha assoluto bisogno perché i conti tornino – rischia di trasformarsi invece in una frenata.

A ciò contribuiscono: il forte aumento degli interessi che vengono chiesti al Tesoro italiano da parte di chi gli presta i soldi, il che costringerà a ridurre altre voci di spesa; la caduta dei prezzi dei titoli pubblici italiani, che ha indebolito le banche che li detengono, per cui potranno concedere meno prestiti; i minori consumi che faranno i privati che pure avevano comprato titoli pubblici e che ora si trovano impoveriti; il clima di incertezza, che certo non incoraggia ad investire nel nostro Paese.

Infine, preoccupa la voglia di andarsene o di portare all’estero i propri soldi che questa situazione provoca, testimoniata dal grandissimo numero di ricerche “conto in Svizzera” su Google.

Se in tutto ciò c’è qualcosa di vero, urge tra forze di governo e di opposizione un momento di tregua che faciliti un coraggioso ripensamento della direzione di marcia del Paese, da un lato riducendo lo squilibrio di finanza pubblica e dall’altro riprendendo la piena collaborazione con i nostri interlocutori d’Oltralpe, perché sarà solo grazie alla loro disponibilità a cooperare se riusciremo a venirne fuori senza gravi danni.

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