Pictures from Giha: il racconto di una rivoluzione, la storia di un’amicizia

I Muta Imago maturano in quest’ultimo lavoro un rinnovato interesse per i temi del contemporaneo, aprendosi a uno sguardo lucido e disincantato senza perdere la dimensione dell’umano
I Muta Imago con "Pictures from Giha" a Roma

Il teatro è alla ricerca di una sua dimensione politica, di un nuovo profilo non più rivolto all’esaltazione del formalismo estetico, ma ancorato ai temi e agli orizzonti cruciali della nostra contemporaneità. È così che i Muta Imago, in appena sette anni di attività artistica, hanno raggiunto la piena maturità di intenti, non perdendo di vista la pratica di una drammaturgia procedurale: il lavoro artistico è sempre frutto di un percorso di scoperta e aggiornamento; è un avanzamento che muove in direzione dell’esplorazione dei linguaggi multimediali, senza abbandonare l’elemento umano, centrale anche in quest’ultimo lavoro.

Pictures from Giha è l’appendice di un lavoro più articolato al quale i due artisti romani Riccardo Fazi e Claudia Sorace stanno dedicando energia e impegno dal 2011, anno della rivolta egiziana di piazza Tahrir. I due artisti hanno iniziato a seguire le controverse vicende della Primavera araba collezionando immagini, tweet, video condivisi in Rete dagli stessi protagonisti della rivoluzione. Da questo primo corpus di materiali raccolti online è nato il primo nucleo dello spettacolo confluito in In Tahir, performance per due attori e supporti multimediali.

Il passo avanti si compie nel 2013, all’alba di una nuova rivoluzione, quando i due artisti decidono di partire per Il Cairo e raggiungere Giha, una ragazza egiziana protagonista di molti interventi sul web, il cui sguardo era divenuto punto di vista privilegiato per il racconto dei Muta Imago fino a quel momento. La frattura tra virtuale e reale, l’abbandono dell’armatura mediatica in favore di un abbraccio vivo e diretto, maturano l’esigenza di una nuova riflessione sul tema della rivoluzione e dell’amicizia, che esplode in Pictures from Giha.

Al centro di questa ultima performance, che ha debuttato sul palco del Teatro Biblioteca Quarticciolo per il Romaeuropa Festival  trova posto la dimensione umana, la vicinanza, l’incontro di mondi paralleli che pur lontani geograficamente si rispecchiano nel quotidiano, lasciando emergere punti d’incontro e questioni irrisolte. I due performer, avvolti nella  dimensione virtuale della scena fatta di suoni, luci, schermi, microfoni, telefoni cellulari, computer portatili, si muovono appena, attivano percorsi multimediali col solo gesticolare delle mani e dei piedi, creando una rete di suggestioni che paradossalmente sottolinea l’elemento antropologico, profondamente umano di quanto sta avvenendo sul palco.

Le ombre, stagliate sullo sfondo illuminato dello schermo che avvolge lo spazio come un Diorama, commuovono per l’umanità della loro dimensione tridimensionale che è impossibile occultare. In un universo bidimensionale, piatto, immaginario, l’uomo è l’unità che sa intessere relazioni, raccontare storie, aprire a possibili riflessioni. La più importante, la più toccante è forse quella che è posta alla fine dello spettacolo, quando i supporti multimediali si spengono e i due attori rivolgono l’ultima domanda  a Giha: «Cosa ti è stato tolto? Quale è stato l’ultimo tassello della tua dignità che hai concesso prima di fare la rivoluzione? Cosa devono togliere a me?».

Teatro Biblioteca Quarticciolo

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