Papà, dove vai ogni sera?

Se avessi potuto credere alle parole di Giuliana, forse la situazione dei miei sarebbe potuta cambiare…
Illustrazione di Valerio Spinelli

Eravamo già sette fratellini. Io ero la maggiore, ma non avevo ancora dieci anni. La mamma aveva sempre tanto da fare, si può ben immaginare, e per di più aspettava il suo ottavo bambino. Vedevo uscire ogni sera mio padre dall’aria giovanile, bello nella sua divisa (era ufficiale); la mamma invece rimaneva a casa a mettere a posto le camicine dei bambini o più spesso a stirare o lavare.

Dove andava papà la sera, ogni sera? Spiegava la mamma: «Sai, è presidente del Circolo degli ufficiali. Lui dev’essere sempre presente, ogni sera, ad ogni festa, ad ogni riunione». Ma io non riuscivo a capire perché lei dovesse sempre rimanere a casa. Mi accorgevo ogni giorno di più che questo diventava il mio problema, la mia preoccupazione.

 

I mesi passavano, anche gli anni: era pesante quel tempo della mia adolescenza. Vedevo tante volte piangere la mamma: era tanto sola. Il suo viso era precocemente invecchiato. Tornava a notte alta, papà, ed io dal mio lettino con gli occhi semichiusi vedevo la scena, sempre la stessa: lì, ferma, non avrei voluto respirare perché nessuno si accorgesse che sapevo, che seguivo ogni mossa. Tornava barcollante: era ubriaco. Parole sconnesse, gesti non armoniosi, mutismo della mamma; poi luce spenta e silenzio profondo in tutta la casa. Quanti pensieri nella mia testolina di ragazzina, mentre il cuore, che pareva non poterli più contenere, aveva battiti precipitosi; poi anche per me il sonno, agitato di incubi strani.

Così tante sere.

 

Quando ci si incontrava a tavola, non guardavo più direttamente mio padre. Mi faceva tanta rabbia: che stava a fare lì? Cosa aveva da dire a noi? Ero tutta schierata dalla parte di mamma: lei sì era la mia famiglia, lei era la santa di casa.

L’atmosfera in casa diventava sempre più pesante. A poco a poco feci le mie confidenze alla mamma, con giudizi aperti nei confronti di colui che era suo marito, mio padre. Condivideva tutto quello che le dicevo e concludeva giustamente con asprezza. Avrei voluto che se ne andasse e anche lei la pensava allo stesso modo. Sarebbe stato bene dirglielo, fare le cose senza troppo strepito: quella situazione del resto non poteva durare.

 

Ma cosa mi aveva detto Giuliana, quel pomeriggio? Era possibile che fosse vero? Se avessi potuto credere all’amica, chissà che la situazione dei miei non sarebbe potuta cambiare. Aveva un fascino quel suo modo di parlare…

«Vedi, Marisa – così le sue parole –, tu soffri mentre con tutta te stessa cerchi di essere felice, vero? Se sei capace di andare oltre il dolore, amando, perché quel dolore per te rappresenta Cristo crocifisso per amore nostro, vedrai che orizzonte nuovo ti si aprirà! Cominciamo insieme: io ti sono vicina, se vuoi».

Erano parole nuove per me quelle. Il dolore. Per me il dolore era una persona più che una situazione. Dovevo cominciare ad amare quella persona con tutta l’anima: era la croce che il Signore mi offriva per andare alla sua sequela. Decisi. Dovevo pur decidere un giorno.

 

Aspettai il ritorno di mio padre fino a notte inoltrata, col cuore che mi batteva più del solito. La mamma era andata a riposare e non sapeva del mio proposito. Sentii, fuori della porta di casa, che qualcuno tentava di aprire. Gli andai incontro. Non era compassione quel mio sentimento: voleva essere amore, quello che è paziente, che va al di là di quello che vede, che sa di misericordia.

«Vieni, papà, facciamo piano perché dormono tutti. Tu, intanto, va’ a letto; io ti porto subito qualcosa che ti farà bene».

II cuore batteva più di prima. Mi aveva guardato, mi aveva rivolto parole poco chiare. Ma avevo sorriso e gli avevo fatto cenno col dito di far piano.

Così alcune sere.

 

E ogni volta ne inventavo una nuova: un decotto, un bagno caldo ai piedi, un ritrovato impasticciato con l’aiuto del farmacista.

Quello sguardo un po’ torbido, quel viso, quella persona non mi faceva più paura: ogni sera – ad ore diverse – aspettavo Gesù in croce, vivo.

«Sai, mamma, cosa è successo?». E le raccontai quello che era successo in quei giorni, con quella confidenza che mi era spontanea. Le parlai dell’amore di Dio, così come l’avevo scoperto, e che mi aveva spinto a cambiare il mio atteggiamento verso papà con delle attenzioni concrete.

«Facciamolo insieme: lui ha bisogno di vedere questo, vero mamma?».

Fu faticoso, ma l’amore vinse.

Papà riuscì a vincere l’attrazione per l’alcol e la sera non uscì più.

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