Numeri e poesia

Èbella la Calabria. Con quel mare d’incanto, d’un azzurro tenero, che bagna le sue spiagge. Ma se è bella adesso, immaginatela nel 500 a.C. o giù di lì, quando il saggio Pitagora s’era rifugiato nei pressi di Crotone. Si comprende allora come lì – di fronte alla dolcezza del mare che s’innesta in quella del cielo – l’antico greco, amante della sapienza, si lasciasse conquistare dalla perfezione dell’universo. E ne rimanesse folgorato, intuendo che tanta perfezione era legata ai numeri. Egli, secondo alcuni il primo filosofo, intuì che la matematica deve condurre alla verità, perché non è un’opinione. È difficile comprendere come molte persone non amino la matematica o la ritengano una scienza arida e noiosa. Probabilmente è colpa d’insegnanti incapaci di trasmetterne la bellezza che aveva subissato d’intima gioia Pitagora e amici. Perché i numeri indicano ordine, rimandano alla perfezione. Abbracciano con le loro cifre le dimensioni della Terra; s’addentrano nei segreti degli atomi, nei loro giochi impercettibili ed esplosivi; s’espandono a misurare le orbite dei pianeti che ruotano nel cielo immenso, tra galassie di stelle e boati inudibili. Sono numeri, quelli che regolano la rima dei versi d’un sonetto d’amore. Numeri, quelli che regolano le geometriche perfezioni delle fughe di Bach: perché note e accordi musicali non sono altro che rapporti matematici. Ancora numeri, quelli che muovono sul palcoscenico i passi di danza d’un ballerino e d’una ballerina; e sempre numeri e geometrie guidano le menti degli sfidanti nell’antico gioco indiano degli scacchi. I numeri regolano le proporzioni nella pittura e nella scultura, che secondo gli antichi greci dovevano rispecchiare l’armonia divina. Furono loro a pensare che il numero aureo (1,618034…) stabilisse le proporzioni delle figure più gradite all’anima. Esso era canone di bellezza: se il rap- porto tra l’altezza di una persona e la distanza dell’ombelico da terra si avvicinava al numero aureo, le sue dimensioni s’avvicinavano alla perfezione. La Venere di Milo rispecchia questa gradevole proporzione e anche il Partenone fu costruito sulla base del numero aureo. Anche se furono i primi ad intuire l’importanza della matematica nel comprendere la realtà, i seguaci di Pitagora non riuscirono a farne un grande uso, per mancanza di conoscenze. Finirono per entusiasmarsi delle somiglianze tra numeri e realtà, dando ad essi un valore magico. Per loro, ad esempio, il 2 corrispondeva al genere femminile, il 3 al maschile, il 5 al matrimonio (3+2 =5). Il 4 ed il 9 corrispondevano alla giustizia in quanto erano i primi numeri quadrati e suggeriscono l’idea di ordine. L’uno rappresentava l’indivisibile, il 10 la perfezione. Come loro, anche altri antichi pensavano che certi numeri avessero poteri magici: il 3 era il numero divino, il 7 sacro. Questo simbolismo numerico e mistico attrarrà la mente di molti uomini dediti a esperienze religiose ed esploderà nella Quabbalah ebraica. La matematica e i numeri fanno molto spesso capolino anche tra le pagine della Bibbia. A volte tendono ad allacciare legami tra il Primo e il Nuovo Testamento: per 40 giorni cadde la pioggia del diluvio, 40 anni passarono nel deserto Mosè e compagni, 40 giorni passò nel deserto Gesù in penitenza; 12 tribù fondarono il popolo d’Israele e 12 apostoli fondarono la chiesa, novello Israele. È proprio il vangelo a riportare l’unica moltiplicazione fatta usando un solo fattore: quella dei pani e dei pesci compiuta da Gesù. In quella moltiplicazione agì un unico fattore: la potenza di Dio. Tutto il fascino dei misteri e delle delizie della matematica ci è proposto da un libro, L’uomo che sapeva contare (Salani) di Malba Tahan – pseudonimo di un famoso matematico brasiliano. Questo libro in Brasile è diventato oggetto di culto, ed è alla quarantesima edizione. L’autore racconta, in uno stile che s’incastona nel magico Oriente delle Mille e una notte, le avventure di Beremiz, un giovane matematico persiano. Seguendo le peripezie di Beremiz, ci imbattiamo in sorprendenti enigmi matematici che stuzzicano l’immaginazione. Veniamo a conoscere che il concetto di numero non fu una conquista facile: molti uomini primitivi conoscevano l’1, il 2, il 3… contavano pecore o cammelli, ma non avevano una parola per dire numero; così come certe tribù dell’Africa conoscono i nomi dei colori dell’arcobaleno, ma non hanno un nome per colore. Impariamo che, se la numerazione decimale è basata sulle dita della mano, fu un indiano, il cui nome è andato perduto, che solo intorno all’800 inventò lo zero, e diede alla matematica un grandissimo impulso. Sulla sua scia l’arabo al Khwarizmi scrisse nu- merose opere di matematica e diffuse il metodo di calcolo, che da lui prese il nome di algoritmo. La sua opera fu introdotta in Europa dal matematico italiano Fibonacci, e tutto l’Occidente ne beneficiò. Veniamo a conoscere che anche la matematica ha i suoi martiri. Uno di essi fu lo sfortunato greco Eratostene, un genio matematico che scriveva anche poesie e vinceva gare alle Olimpiadi. Quando, per malattia, divenne cieco, egli decise di lasciarsi morir di fame, perché non poteva più contemplare lo splendore azzurro di Sirio e l’incantevole firmamento di stelle, che, come cuccioli, sembrano disporsi nell’oscurità attorno alla mamma Luna. Un altro è Archimede. Mentre la sua città Siracusa veniva presa d’assalto dalle truppe del generale romano Macello, Archimede era assorbito nella risoluzione d’un problema e tracciava numeri sulla sabbia. Quando il soldato che tentava di arrestarlo li calpestò, il matematico lo rimproverò aspramente: per tutta risposta fu infilzato dalla sua spada. Marcello fu molto addolorato per il gesto del suo soldato e fece incidere sulla tomba di Archimede un cerchio iscritto in un triangolo, in memoria di un suo teorema. Ma ha anche i suoi poeti, la matematica. L’indiano Bhaskara scrisse un libro intitolato Lilavati, in onore della sua amata figlia condannata dal destino avverso ad essere nubile. In questo libro la matematica, per amore della figlia, diventa poesia: Diletta Lilavati, dai miti occhi di gentile gazzella, dimmi quale numero si ottiene moltiplicando 135 per 12?; ed anche: La quinta parte d’uno sciame d’api, si posò sul fiore di Kadamba, un terzo sul fiore di Silinda. Tre volte la differenza fra questi numeri si posò sul fiore di Krutaja, e solo un’ape rimase in volo, attratta dal profumo di un fiore di gelsomino. Dimmi, bellissima fanciulla, quante erano le api di quello sciame?. Quanti problemi, espressi con tanto squisito garbo e delicatezza, troviamo nei manuali scolastici di matematica? Ma la matematica ha anche i suoi saggi, che vedono scienza e vita strettamente legate, secondo l’affermazione di Socrate: l’unica conoscenza utile è quella che ci rende migliori. Sulla sua scia il poeta e matematico arabo Omar Khayyàm scriveva: Bada a che la tua sapienza non danneggi il prossimo. Vigila con cura su te stesso e non cedere alla collera. Se vuoi la pace, sorridi al destino che ti ferisce. Non fare del male ad alcuno . E il filosofo romano Seneca diceva: Che cosa serve conoscere cos’è una linea retta se non si ha idea della rettitudine? . Tanta era l’ammirazione di Platone per la matematica che all’ingresso della sua Accademia era scritto: Non entri chi non è geometra. E di lui si ricorda il detto: Dio sempre geometrizza . Così, sospinti dalle ali di Beremiz – l’Uomo che sapeva contare – c’innalziamo fra le verità della matematica, che hanno il sapore dell’eterno e spingono lo spirito a quelle altezze dalle quali si può contemplare l’armoniosa maestà della creazione.

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