Non c’è spina senza rosa

Il significato del dolore nella vita di un bambino che supera ogni fase fino a diventare un giovane intraprendente
rosae ghiaccio

«Fino lì, molto camminai. Mi avventurai camminando in quella strada piena di curve e di misteri. Cercai di svelare ogni immagine che appariva, ogni suono che udivo, ogni sensazione. Sempre proseguii avanti, non avevo ragione per fermarmi. Sentii che niente poteva trattenermi. E così sfidavo i sentieri che trovavo. Può sembrare che stessi camminando da solo, ma non mi sentivo così solo, anche quando nascevano dubbi circa tale compagnia. Qualcuno camminava con me e sentivo ciò nelle profondità del mio io».

 

Dietro queste parole del racconto La Rosa, di Rodrigo Fernandes Meireles, si nasconde tutta una vita: sfide, superamenti, gioie e grandi scoperte. Una vita di incontro con una rosa.

 

Rodrigo nasce il 30 novembre 1982, a Fortaleza (Brasile) in una famiglia cattolica. Allegria e gioia sempre furono i segni distintivi di Rodrigo, dall’infanza alla gioventù, in tal modo che non sempre era facile immaginare la misura delle sfide che affrontava ogni giorno: era infatti nato con la sindrome di Crouzon, una malattia genetica che, impedendo la crescita del cranio e uno sviluppo normale del cervello, può generare problemi neurologici, perdita di tutte le funzioni motorie, ritardo mentale e perfino la morte. Perciò, fino ai 23 anni, si sottomise a sette interventi chirurgici.

«Quando seppi che Rodrigo aveva la sindrome di Crouzon pensai come sarebbe stata difficile la sua vita in una società che valorizza la bellezza, quanti ostacioli sarebbero venuti fuori per la sua vita sociale, per quanti rifiuti sarebbe dovuto passare; e poi, quanta sofferenza fisica avrebbe dovuto sopportare» ricorda Tereza, sua mamma.

 

I genitori presero la responsabilità di affrontare con il bambino le difficoltà. La sofferenza e le preoccupazioni erano immense, ma cercavano di non dimostrarle per trasmettere a Rodrigo soltanto la sicurezza e l’orgoglio che avevano di lui.

 

Il primo intervento chirurgico fu fatto a Fortaleza, ai soli due mesi di vita, con esito positivo. Il secondo, a San Paolo, inizialmente previsto dopo 5 anni, avvenne d´urgenza, quando Rodrigo aveva ancora tre anni. Quella volta, un’infezione ospedaliera protrasse il ricovero per un mese. L’infezione era ormai generalizzata e neppure i migliori medici riuscivano a recuperare la salute di Rodrigo. Fu un’esperienza molto intensa, come racconta Tereza: «Capii che non siamo veramente niente, e dinnanzi a quella situazione decisi di donarmi totalmente a Dio. Fu proprio lì, in quel dolore immenso, che Dio mi si rivelò ed io risolsi di seguirlo. Poco dopo, Rodrigo ricevette la visita di un sacerdote, che li applicò l’unzione degli infermi. Con nostra sorpresa, qualche giorno dopo, si risollevò, senza febbre e senza qualsiasi segno di infezione». Qualche anno dopo, Tereza abbracciò una consacrazione speciale nell’ambito del Movimento dei focolari, che aveva conosciuto dai genitori e sopratutto dagli inumerevoli membri che si fecero presenti nella vita della sua famiglia durante il tratamento di Rodrigo.

 

Il momento di un terzo intervento chirurgico arrivò a 12 anni, quando Rodrigo poté fare un passo importante: «Mia mamma mi disse: “Fin qui ti ho seguito, abbiamo viaggiato insieme a São Paulo e sono stata sempre accanto a te. Ora puoi decidere cosa vuoi fare e come vuoi fare”. Fu la prima grande scelta cosciente che feci, il primo grande passo in cui dare personalmente il mio sì». Quel “sì” personale del 1995 era il primo di molti che disse da lì in poi.

 

Nel 2000, a 17 anni, visse l’intervento chirurgico più difficile, accompagnato da tutta la famiglia. Rodrigo ricorda l’atmosfera tranquilla che lo anticipò: «Le infermiere ci guardavano chiacchierare, non sembrava che qualcuno stesse soffrendo. Il clima tra noi era molto positivo, un’atmosfera che mi faceva respirare quella scoperta dell’Amore di Dio». Nel periodo post-operatorio, in un giorno di intensi dolori, Rodrigo gridò. C’era soltanto sua mamma nella camera, che lo prese per mano e disse: «Ora siamo su un ponte. Che possiamo fare? Attraversiamo il fiume o restiamo qui?» Rodrigo non si fermò, come narra ne La Rosa: «Ricordare quel ponte è ricordare un momento di gloria. Non fu facile attraversare un ponte che, tanto lungo e complicato, sembrava aumentare ad ogni mio passo. Era assicurato da qualche corda poco affidabile ed era composto da parecchi pezzi di legno. Tra questi pezzi c’erano delle breccie che spaventavano chi osasse attraversarlo. Senza un’altra uscita, cercai di fare i primi passi tenendomi in equilibrio sulle corde. Tremavo. Guardavo in giù, ma subito deviavo lo sguardo. Non era per niente facile guardare la corrente rumorosa di laggiù. Immaginavo che uno dei tronchi portati dal fiume potrebbe essere me stesso. E questo sommato all’angoscia di voler uscire subito da lì generava una sensazione conflittuosa. Pensavo indefinite volte alla possibilità di desistere, alla paura di cadere e a tante altre insicurezze. Ma non desistii. Per quanto distante potesse essere l’altra riva non avevo motivi per fermarmi. Mi restava proseguire in avanti. Dopo che la traversia fu conclusa, guardai quel grande buco dietro a me e cercai di comprendere la sua reale dimensione. Arrivai, infine, all’altra riva».

 

Rodrigo ricorda di un altro momento importante. Percependo la sofferenza di sua mamma le disse: «Non voglio vederti preoccupata per i miei dolori. Devi capire che tali dolori sono miei. Sono situazioni che io ho bisogno di vivere, sono passi che io devo fare, questa è la croce che io devo abbracciare».

 

Oggi Rodrigo abita in Italia, dove si specializza in “Fondamenti e prospettive di una cultura dell’Unità”, presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano. La disponibilità è la stessa di sempre. Grazie a tale disposizione è conosciuto come il “sindaco di Tracolle”, residenza degli studenti dove abitano 14 alunni di diversi Paesi. Nel futuro pensa di sposarsi, e soprattutto di «servire l’umanità». Il giovane identifica l’amore di Dio con una rosa: «Quella rosa era la grande scoperta che feci nella mia vita, era la rivelazione di Dio in ogni fase vissuta, in ogni momento; percepii la gioia necessaria per vivere ogni esperienza. Secondo Chiara Lubich, è molto facile sentire attorno a noi che non esistono rose senza spine. Ma in verità non esistono spine senza rose. Dietro ogni fatto, ogni avvenimento, sia doloroso o no, piccolo o grande, Dio è lì e ci accompagna». E il racconto finisce così: «Mi sento bene. Trovai la rosa».

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