Neve in maglia rosa

Il maltempo funesta il Giro d’Italia e costringe gli organizzatori a modificare il percorso. Tra le nevi del Col du Galibier si ritrova Visconti e noi ritroviamo il ciclismo che vogliamo
Giovanni Visconti

Cade la neve e scendono le lacrime se non sul viso almeno nel cuore. Il cuore è quello di Giovanni Visconti, 30 anni, nato a Torino, vissuto a Palermo, diventato grande in Toscana. Anche questa è la vita del ciclista che viene dal Sud. Poche gare, pochi mezzi, tanti sacrifici, tanti chilometri da percorrere in traghetto e in macchina, con l’aereo per andare a sfidare i pari età al Nord, con la speranza un giorno di diventare professionista, con il sogno di essere grande tra i grandi vincendo magari una tappa al Giro d’Italia.

Giovanni Visconti da Palermo la sua tappa l’ha vinta prima con la vita e poi sul campo. Essere capitano portando nelle gambe il peso della responsabilità. Essere atteso quando l’appuntamento conta. Essere abituati spesso a guardare gli altri dal gradino più alto del podio. Avere un talento non comune da impiegare e sfruttare al punto che è la testa ad essere pesante. Cerchi di abbattere la fatica, di eliminare lo stress, ma rimangono le aspettative. Le conferme non arrivano e quindi rovinano.

Mette fieno in cascina (e che fieno) dopo la carestia Visconti, dopo i due titoli di campione italiano su strada (2010 e 2011), dopo la maglia della Nazionale, dopo la maglia rosa indossata per otto giorni al Giro del 2008. La tappa numero quindici del 96° Giro d’Italia da Cesana Torinese a Les Grange Col du Galibier è forse il successo più prestigioso nel suo palmares. Almeno in quanto a significato simbolico per uno nato nello stesso giorno di Marco Pantani che ha per sempre scolpito il Col du Galibier in una delle pagine più belle mai scritte dal ciclismo contemporaneo. Pantani scattò qui nel ’98 per andare a conquistare il suo Tour de France, qui dove oggi c’è una stele issata ad eterna memoria, qui dove ha vinto Visconti di gran carriera con una fuga da lontano. Stile Pantani.

C’è bisogno di solitudine per ritrovarsi. Il destino a volte lo incroci dove meno te lo aspetti e Giovanni Visconti dalla Sicilia tutto si aspettava tranne che vincere sul Galibier per ritrovare la bussola lì dove fa freddo, quando magari nevica all’ombra del mito. «Sono nato il 13 gennaio, lo stesso giorno di Pantani – ha commentato Visconti a caldo – credo di aver vinto grazie a lui che questa salita la conosce bene,  ma anche grazie ai miei figli: loro sono il mio ossigeno».

Dove comincia e dove finisce il ciclismo di questi tempi non è dato saperlo. Certo che l’affetto, ma anche il coraggio della gente è come la fatica: non muore mai. Il ciclismo resiste, aggredisce e coinvolge. Resiste al doping, aggredisce il pregiudizio di massa, coinvolge i cuori, infiamma gli animi. Gli ascolti da record lo dimostrano e nonostante tutto c’è ancora chi è disposto a spendere la domenica al freddo e al gelo di un imbiancato colle alpino per vedere passare i ciclisti e magari rubare loro un cappellino o una borraccia.

Il Giro resiste perché con lui resiste la memoria sportiva rievocata sabato all’arrivo verso lo Jafferau, sopra Bardonecchia. Da queste parti vinse Merckx nel ’72 quando gli italiani Motta, Bitossi e Zilioli vennero cacciati dalla corsa accusati di essersi ripetutamente aggrappati alle auto al seguito della carovana non sapendo più che pesci pigliare per contenere il distacco da Eddy.

 Il Giro resiste perché non dimentica e ricorda il 50° anniversario della tragedia del Vajont con arrivo ad Erto e Casso e partenza a seguire da Longarone. Resiste il Giro e continua ancor di più ad essere un gran bel Giro quando si vengono a scoprire storie assopite come quella di Alessandro Proni della Vini Fantini-Selle Italia, donatore di midollo osseo per la sorella malata di leucemia con il rischio più che concreto di rimanere a piedi senza lavoro quindi senza bicicletta.

«Non puoi donare il midollo, potrebbe essere sporco, sei un ciclista professionista, sai i ciclisti, il doping…», gli dicevano i medici. Alessandro ha risposto loro con il piglio di quello che non era disposto a far morire la sorella già gravemente malata e che dentro di lui era tutto ok. Debora però se n’è andata a causa di un’infezione che aveva aggredito le sue difese immunitarie, proprio quando la leucemia era sconfitta. Oggi Alessandro corre nel suo nome e dice quanto è bello donare il midollo, il sangue e non solo, ma ancor di più dice che al mondo tanta gente soffre e che non si può essere indifferenti di fronte all’evidenza dei fatti. Lui è gregario, abituato ad aiutare sulla strada. Parla, prende il microfono al Processo alla Tappa, quasi si commuove, poi ritorna nei ranghi e la gente s’infiamma. Senza pagare, senza comprare. Certi messaggi non hanno prezzo.

Salendo verso il Galibier le telecamere dall’elicottero Rai hanno mostrato per una frazione di secondo una scritta, disegnata sulla neve con la vernice scura: “Who’s Lance?” – “Chi è Lance?” (Armstrong n.d.r). Nella vittoria di Visconti, nella speranza di Alessandro Proni, il ciclismo non dimentica, ma pedala ancora. Il Giro prosegue con uno splendido Vincenzo Nibali in maglia rosa. In sella ad una bicicletta non si può dimenticare il passato, si può essere pionieri del futuro.

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