Nella pietra il canto della vita

Davanti a Margherita. Contemplazione di un capolavoro mutilo di Giovanni Pisano.
margherita brabante

«Piccola, minuta, con un viso tondetto quasi infantile, illuminato da due occhi come gemme»: così le cronache dell’epoca descrivono Margherita di Brabante, sposa di Enrico VII (l’Arrigo di Dante), venuto in Italia a ricevere la corona imperiale. Un sogno contrastato, che travolse prima lei, la gentile e pia lussemburghese, morta di tifo a Genova nel 1311, e qualche anno dopo il suo stesso consorte. Il quale, innamoratissimo della moglie (fatto non scontato in un’epoca in cui i matrimoni fra regnanti avevano valenza politica), volle erigerle un sepolcro sontuoso, degno di una regina, nella chiesa (ora demolita) di San Francesco di Castelletto, affidandone la realizzazione ad uno dei sommi scultori di allora, quel Giovanni Pisano le cui opere aveva ammirato nel Duomo di Pisa.

 

Era, nella lunga carriera del maestro settantenne, la prima commissione di un monumento funebre, e nell’idearlo Giovanni ebbe una intuizione geniale, che introdusse un tema nuovo nell’iconografia delle architetture tombali: scartata infatti la rappresentazione, allora comune, del defunto nella rigidità della morte, lo scultore decise di raffigurare la regina in due successive sequenze dinamiche: mentre il corpo si abbandonava al momento del trapasso e, subito dopo, mentre si risvegliava alla vita eterna, sorretto da due angeli. Il tutto nella classica struttura dei grandi sepolcri gotici verticali, che voleva il sarcofago sostenuto da statue di virtù e coronato da un baldacchino a cuspide sotto cui campeggiava la Madonna col Bambino.

 

Purtroppo, nel corso dei secoli, questo capolavoro seguì la sorte di altri sepolcri gotici che nei vari rifacimenti delle chiese in cui erano ospitati vennero spostati e smembrati, quando non se ne persero perfino le tracce. Per fortuna ciò che ne resta –vanto ora del Museo genovese di Sant’Agostino – comprende il centro focale del sepolcro, e precisamente il gruppo raffigurante Margherita di Brabante con i due angeli, lei mentre si risveglia dal sonno della morte, quelli mentre premurosamente la sorreggono e sono pronti a scortarla in cielo.

 

Giovanni Pisano non intese scolpire l’immagine reale della regina, ma le fattezze stupende di una donna che volge verso l’alto uno sguardo quasi incredulo e grato. Straordinario questo volto già radioso di gloria celeste, pur conservando tracce delle sofferenze terrene; un volto – è stato osservato – che forse ha fatto da apripista per successive rappresentazioni delle estasi mistiche (è d’obbligo il parallelo con la Santa Teresa dal Bernini).

La torsione del corpo della regina ascendente dalla tomba, il curvarsi degli angeli che la sollevano per le braccia, generano un gioco di armonie e di curve che fanno pensare ad una danza, allo snodarsi di una frase musicale che accompagna trionfalmente l’anima verso le sedi celesti.

 

Quasi non disturba più lo stato mutilo della scultura: la partecipazione emotiva di chi guarda rende infatti presente con l’immaginazione ciò che ad essa manca, allo stesso modo che un vuoto evoca più intensamente un pieno. Arricchita così quasi di nuove suggestioni l’intenzione originaria dell’autore, l’atto di devozione ed omaggio di uno sposo innamorato verso la propria consorte è percepito come messaggio universale di pace, di vita, di fiducia nell’Onnipotente.

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