Natale con Agostino

A Ippona, nella “basilica della pace” dove il grande dottore della Chiesa istruiva il popolo con la sua parola sapiente e ispirata
Rovine della città d'Ippona

L’odierna cittadina di Annaba, in Algeria, la Bona dell’occupazione francese, al tempo dell’impero romano apparteneva alla Numidia proconsolare col nome di Hippo Regius. Fiorente porto commerciale fino all’invasione vandalica del 430-431 d. C., ne restano cospicue vestigia: il foro con i suoi portici colonnati, il teatro, il mercato, le terme severiane, le cisterne… Era l’Ippona di Aurelio Agostino, che dal 396 fino alla morte nel 430 ne fu vescovo: carica alla quale fu costretto, lui che invece sognava la piccola comunità di un monastero.

All’epoca la popolazione era composta da armatori e uomini d’affari, arricchiti mediante il commercio dei cereali, da famiglie agiate stanziate in ville lussuose dai meravigliosi mosaici, oggi vanto del locale museo; ma soprattutto da pescatori e marinai, soldati e commercianti, contadini, artigiani e funzionari, asceti e monaci, pagani e giudei. Ai cristiani cattolici si mescolavano i seguaci di varie sette ereticali, vera spina nel cuore di Agostino. La divisione era tanto più evidente in quanto la basilica dove egli celebrava i santi misteri e la donatista erano molto vicine, sicché al momento delle liturgie i canti e i clamori provenienti da entrambe cercavano di sovrastarsi. Non era certo facile per il grande dottore della Chiesa governare la barca del suo popolo in mezzo a tali frangenti!

Oggi della basilica pacis di Agostino rimangono soltanto dei ruderi attraverso i quali si scorge in lontananza, in cima ad un colle verdeggiante, la chiesa dedicata al santo vescovo dai francesi nel XIX secolo; ma è perfettamente riconoscibile la pianta in tre navate dell’edificio del quinto secolo con l’annesso battistero. Giunti poi nel presbiterio, desta particolare emozione il vuoto occupato un tempo, nella curva dell’abside, dalla cattedra dalla quale egli istruiva il gregge a lui affidato.

Per un momento, trasportiamoci idealmente all’interno di questa basilica come doveva essere nel quinto secolo. Il tempo d’avvento è terminato, il Natale è ormai giunto: per questo le marmoree navate del tempio a stento contengono una folla straripante di fedeli. Sono abitanti della cittadina, ma anche frequentatori più occasionali degli immediati dintorni, attratti dalla eccezionalità della festa. Non manca un gruppetto di catecumeni: è permesso loro di rimanere soltanto fino alla lettura e alla spiegazione del Vangelo.

Assiepati in piedi fin quasi sotto la cattedra episcopale, tutti attendono ora la parola del loro pastore. Poco distante dall’ormai settantenne vescovo, che immaginiamo seduto col libro delle Scritture aperto sulle ginocchia, un po’ come lo raffigurano i più antichi affreschi, un notarius è pronto a trascrivere quanto andrà dicendo nella sua omelia, un patrimonio di spiritualità e di dottrina da tramandare alle future generazioni. Oltre cinquecento, infatti, sono i discorsi rimastici in questo modo (ma quanti di quelli pronunciati in 34 anni di ministero episcopale sono andati perduti?): quasi testi sbobinati da un registratore, che riportando fedelmente esortazioni, intercalari, ripetizioni, mantengono, pur nello stile dell’epoca, una freschezza incredibile.

Nulla di preparato, nelle sue omelie. Agostino – per dirla col linguaggio di oggi – va “dove lo porta il cuore”, un cuore che dopo essere stato a lungo inquieto finalmente riposa nel suo Dio. Ed ha accenti da vero innamorato. Né l’antico retore ha bisogno di leggere. Sostenuto da una memoria prodigiosa e dall’assidua frequentazione delle Scritture, cita, accosta, sviscera brani dell’Antico e del Nuovo Testamento con estrema disinvoltura. Sa come farsi ascoltare dai suoi fedeli, come mantenere desta l’attenzione, consolidarne la fede… E poi occorre preservarli da vecchie e nuove eresie – quella a lui ben nota dei manichei, dei donatisti, dei priscillianisti, dei pelagiani –, senza trascurare quanti ancora sono tenacemente attaccati al paganesimo. Tutti gli accorgimenti possibili escogita per nutrirli, consapevole che l’occasione dell’omelia è l’unica loro fonte per istruirsi nella sana dottrina. Agostino attende a tale compito con pazienza e sempre nuovo entusiasmo, a giudicare da questo consiglio dato una volta ad un giovane diacono: «Se ci stanchiamo di dover ripetere delle banalità fatte per dei bambini, adattiamoci ad essi con amore fraterno, paterno e materno; e quando noi saremo all’unisono con i loro cuori, le banalità sembreranno nuove a noi stessi».

Nell’accostarsi al Natale, poi, più che lasciarsi andare ad elucubrazioni teologiche e filosofiche, egli in genere preferisce interpellare e coinvolgere il sentimento e l’immaginazione di chi ha dinanzi; e lo fa con la sua fluida vena oratoria, presentando le due “nascite” di Cristo, entrambe divine e meravigliose: l’una, l’eterna, dal Padre; l’altra, nel tempo, da Maria. Sarà così anche stavolta? Oppure, quasi divertendosi, elencherà certe situazioni contrapposte, paradossali, così utili – perché alla portata di tutti – a far percepire che l’incarnazione è anzitutto un mistero, di fronte al quale l’unico atteggiamento giusto è quello di umiltà, di contemplazione e di adorazione, di stupore e di riconoscenza? Certamente insisterà, come già altre volte, sulle conseguenze concrete per la vita dell’uomo che derivano dalla nascita di Gesù.

Ma ecco che il brusio nell’affollata basilica si spegne, ecco il pastore e padre degli ipponati alzarsi dal suo seggio nell’attenzione generale. Le sue parole, ogni volta, comunicano a chi ascolta la sua intimità con Dio. Eccone alcune. «… è diventato uomo, lui che ha fatto l’uomo; è stato formato da una madre che lui ha creato; ha succhiato da un seno che lui ha riempito; il Verbo senza il quale è muta l’umana eloquenza ha vagito nella mangiatoia, come bambino che non sa ancora parlare…». «Tu che eri uomo hai voluto diventare Dio e così sei morto; lui che era Dio volle diventare uomo per ritrovare colui che era morto. La superbia umana ti ha tanto schiacciato che poteva sollevarti soltanto l’umiltà divina…». «Cristo è nato: nessuno tema di non poter rinascere. (…) Sua madre portò Gesù nel grembo; noi portiamolo nel cuore. La Vergine è rimasta incinta con l’incarnazione di Cristo; i nostri cuori siano ricolmi della fede di Cristo. La Vergine partorì il Salvatore; noi partoriamo la lode di Dio. Non rimaniamo sterili: le nostre anime siano feconde di Dio…». «Quanto Maria meritò di conservare nel corpo, la Chiesa lo conserva nel cuore; la differenza è che Maria partorì un solo figlio, la Chiesa ne partorisce molti, da riunire però in unità tramite quell’unico figlio di Maria…». «Esultino gli uomini, esultino le donne: Cristo è nato uomo, è nato da una donna; ambedue i sessi sono stati da lui onorati. Si trasformi nel secondo uomo chi nel primo era stato precedentemente condannato. Una donna ci aveva indotti alla morte; una donna ci ha generato la vita. (…) Esultate, giusti: è il Natale del Redentore. Esultate, schiavi: è il Natale del Liberatore. Esultate, voi tutti cristiani: è il Natale di Cristo…».

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