Napoli oltre le ecomafie

Prosegue a Napoli il X Forum internazionale dell’informazione per la salvaguardia della natura. Partendo dalle dichiarazioni del boss pentito Schiavone, rese pubbliche nei giorni scorsi, a proposito degli sversamenti eseguiti in numerose aree della Campania e del basso Lazio, si lavora per accertare di chi siano le responsabilità dell'attuale situazione di inquinamento
Manifestazione contro i rifiuti in Campania nella Terra dei fuochi

«Le dichiarazioni di Carmine Schiavone sono una distrazione, sono niente di fronte alla responsabilità di chi per decenni ha visto e voluto ignorare le conclusioni delle commissioni Ambiente; non parliamo di sistema come astratto o immodificabile, perché questo è fatto da uomini, molti dei quali eminenti e facilmente individuabili». Parole forti, ma motivate da decenni di studio analitico, quelle del direttore dello Sbarro Institute di Philadelphia, Antonio Giordano, uno dei relatori della tavola rotonda sulle “Ecomafie”, organizzata nell’ambito del X Forum internazionale Greenaccord dell’Informazione per la Salvaguardia della Natura.Tra gli ospiti intervenuti, il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo, il coordinatore nazionale dell’Osservatorio sulle ecomafie di Legambiente, Antonio Pergolizzi, e il presidente della commissione Ambiente della Camera dei deputati, Ermete Realacci.

«"Ecomafie" è termine relativo e da superare, i veri mandanti non hanno ancora pagato: la terra dei fuochi – ha tuonato Giordano – è venuta fuori perché la sinergia tra procure e Corpo forestale è riuscita a dare ragione a sospetti legati a decenni di sversamento illegale di rifiuti, ma ciò che preoccupa è che non esista ancora un programma di prevenzione, al di là dei progetti di bonifica che sarebbero così vanificati».

Alcune stime parlano di ben 5 milioni di vittime di inquinamento, in Campania: «Quando, a metà degli anni ’90 parlavamo di sversamenti illegali di rifiuti che avvelenavano il territorio venivamo visti come marziani, anche dagli operatori dei media», ricorda il presidente della commissione Ambiente di Montecitorio, Ermete Realacci, all’epoca presidente di Legambiente. «Solo due troupe – CNN e Videomusic – accettarono di venire con noi a vedere la condizione dei terreni vicino alla base Nato di Licola (in provincia di Napoli)».

Un silenzio colpevole, assordante, ricercato da troppi complici, di fatto camorristi dal colletto bianco. «Dotto’, non faccio più cocaina, faccio ‘monnezza’: faccio soldi e rischio niente»: così un collaboratore di giustizia, nei primi anni 90’, si rivolse Franco Roberti, che portando la sua esperienza si è invece concentrato sull’evoluzione degli strumenti normativi per perseguire i reati ambientali. Nella sua relazione, tra rammarico per gli errori passati e speranza per il futuro, il riferimento all’impossibilità «di usare le intercettazioni telefoniche, di coinvolgere l’Interpol e di contestare il reato di associazione a delinquere».

Situazione ora diversa, grazie alle norme introdotte tra il 2006 e il 2010. «L’anno scorso un protocollo d’intesa tra l’Antimafia e il Corpo forestale dello Stato ha permesso – ha affermato Roberti – di fare indagini preventive sui reati spia, mappando meglio i territori in cui avvengono e permettendoci di intervenire in modo più mirato». Ma la criminalità si è aggiornata, costruendo sinergie mondiali per trasferire i rifiuti all’estero e infiltrandosi nella Green economy con corposi investimenti: «la vicenda del parco eolico di Isola Capo Rizzuto è solo la punta dell’iceberg» ammonisce. «Ancora oggi vanno in prescrizione moltissimi reati, con punte del 50 per cento», sottolinea ancora il procuratore chiamando in causa Governo e Parlamento affinché mettano mano al sistema delle prescrizioni.

«Le dichiarazioni di Schiavone non fanno che confermare quanto diciamo da due decenni» accusa invece Antonio Pergolizzi, puntando il dito contro l’inazione di ampi settori dello Stato: «se i clan sono entrati nella gestione dei rifiuti è perché il settore era abbandonato dallo Stato e più i rifiuti erano tossici, pericolosi, difficili da smaltire per vie legali, più i margini di guadagno per la criminalità erano elevati». Il nodo focale viene rimarcato da mons. Angelo Spinillo, che affida alle parole di papa Francesco rispetto alla ‘cultura dello scarto’, vera origine dei mali spirituali e materiali, la conclusione del dibattito: «quello del pontefice è un appello alla popolazione civile a ribellarsi contro una situazione sbagliata e a un modello opprimente, che ci spinge a considerare scarto tutto ciò che non ci è utile in un certo momento» ha affermato il vescovo di Aversa.

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