Morandi, il calcio e quel sentimento di anti-napoletanità

La reazione dell’artista bolognese agli episodi di razzismo avvenuti allo stadio “Dall’Ara”: che il suo sfogo sia da esempio per i potenti del pallone nostrano
Gianni Morandi

«Napoli sembra una città, ma è una nazione… Io non posso fare a meno, almeno due o tre volte al giorno, di sognare di essere a Napoli. Sono 12 anni che studio tre ore alla settimana il napoletano, perché se ci fosse una puntura da fare intramuscolo, con dentro il napoletano, tutto il napoletano, che costasse 200 mila euro, io me la farei, per poter parlare e ragionare come ragionano loro da millenni».

Sarà stato anche per queste parole a firma Lucio Dalla, o più in generale per l’amore viscerale che legava il cantautore bolognese al capoluogo campano, che il suo concittadino Gianni Morandi – presidente onorario del Bologna – aveva chiesto che allo stadio “Dall’Ara” fossero diffuse le note di “Caruso” a pochi minuti dal match tra i rossoblù padroni di casa e il Napoli. Un gesto di accoglienza nei confronti dei numerosi tifosi ospiti e di ricordo per uno straordinario e indimenticabile artista.

Ma anche l’iniziativa più nobile, in questo calcio poco sportivo e ancor meno umano, finisce per essere rovinata da una strisciante e preoccupante maleducazione da stadio. Era successo meno di due mesi fa, quando la lodevole proposta della Juventus di riempire di bambini la curva bianconera (chiusa per i soliti cori anti-napoletani) era stata rovinata dagli insulti proferiti dai baby tifosi della Vecchia Signora nei confronti del portiere dell’Udinese, Željko Brkić. Ed è successo l’altro giorno, quando il celebre pezzo di Dalla è stato coperto da sonori fischi e slogan razzisti, il tutto condito da qualche striscione poco edificante. Immediata la reazione di Morandi, che meno di 24 ore dopo il fattaccio ha così dichiarato: «Ieri allo stadio di Bologna è successo qualcosa di inqualificabile e di cui mi sono vergognato. Non credevo che il tifo fosse degenerato a tal punto: fare il presidente onorario non mi piace più». Ora, tralasciando la minaccia di dimissioni del cantautore felsineo da una carica puramente simbolica, viene da fare un paio di considerazioni.

In primo luogo, è inaccettabile l’idea – che in tanti vorrebbero sdoganare – per la quale cori e striscioni come “Vesuvio lavali col fuoco” o “Sarà un piacere quando il Vesuvio farà il suo dovere” vengano considerati alla stregua di semplici sfottò. Segno, questo, di una moralità sempre più in picchiata, di un’incapacità (frutto di ignoranza o di cattiveria) nel saper o voler distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Ed è fuori dalla realtà sostenere che – in fondo – chi si comporta in tal modo è parte di una sparuta minoranza: ci stiamo “animalizzando”, e Morandi l’ha capito più (e prima) di tanti altri.

In secondo luogo, e spiace tremendamente dirlo, nell’Italia attuale – specialmente nell’Italia del pallone – si sta diffondendo un sentimento di anti-napoletanità che non si spiega. E il fatto che il club azzurro sia tornato a lottare ai vertici, seppur dia fastidio a tanti, non può giustificare un tale “sentimento di massa”, diffuso peraltro anche in città notoriamente aperte e cosmopolite come – ad esempio – Bologna. Diciamolo subito, così da evitare fraintendimenti: di cori e striscioni poco edificanti, di comportamenti violenti e maleducati, ne è pieno il Paese, da Nord a Sud. E tra gli episodi più ridicoli, in questi mesi caratterizzati da frasi razziste e curve chiuse, ce n’è uno del quale si sono resi protagonisti gli stessi sostenitori partenopei, autoinsultatisi al fine di mettere in discussione la norma sulla discriminazione territoriale: un’iniziativa che si commenta da sola.

Ma non è un caso che lo sfogo di Gianni Morandi sia arrivato dopo Bologna-Napoli, undicesima partita casalinga dei rossoblù in questo campionato: perché non dopo Bologna-Sampdoria, Bologna-Milan o dopo uno degli altri otto match giocati dai felsinei al “Dall’Ara”? Semplice, perché la violenza verbale della quale sono oggetto Napoli e i napoletani non ha pari in Italia, e questo fa male – per fortuna – anche a persone perbene come Morandi, che di partenopeo ha ben poco.

E allora, ben vengano tali esternazioni, in attesa che posizioni altrettanto nette vengano prese dai veri potenti del calcio (dirigenti in primis), troppo spesso succubi – e complici – dei loro stessi tifosi.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons