Mikonos o Formentera? No grazie, meglio la Gmg

Perché un ragazzo sceglie di andare a Rio de Janeiro per partecipare a celebrazioni eucaristiche e catechesi, invece di andare in un luogo alla moda per una vacanza da sogno? Un (giovane) lettore prova a spiegarlo
Gmg 2013

Il venerdì a Rio comincia (forse un po’ come da voi) con il duro passo della sveglia mattutina. Le ore di sonno perduto si fanno sentire a fine settimana, e gli occhi si aprono lenti, appesantiti dal lungo giovedì terminato dopo l'adorazione eucaristica condotta dai giovani del Movimento dei Focolari.

Stamattina, prima di arrivare alla catechesi, ho il tempo di prendere al volo una coxinha di pollo e augurare “Bom dia” all'uomo che me la incarta. «Il missionario non si fa solo in Africa, il missionario si fa sotto casa». Mons. Edoardo Menichelli, vescovo di Ancona, non adotta mezze misure, è diretto, vero, in lui si percepisce a pieno il "Papa Francesco Style": quel toccare il cuore senza mezzi termini e con un pizzico di sana ironia.

Fin dalle prime parole si ha la sensazione che non sarà una catechesi in formato standard: «È una bellissima città, ma non avete speso 1.800 euro per venire a vedere Rio de Janeiro».

È vero. I Giovani di tutto il mondo non sono in Brasile per una gita oltreconfine, la Giornata Mondiale della Gioventù non è nata per una forma di turismo di massa. Il giovane sceglie la Gmg perchè Mikonos e Formentera sono belle e divertenti, ma passano senza lasciare un segno profondo, senza dare smalto nuovo all’anima. Il giovane sceglie la Gmg perchè c’è bisogno di andare, mettersi in gioco, buttarsi nella mischia. Il giovane sceglie la Gmg perchè sente il richiamo di un’esperienza che riempie il cuore.

Nella Parrocchia di Sao Judas Tadeu di Niteroi, i circa 400 giovani presenti sono in fermento, ogni tanto, da qualche angolo, sale un leggero brusio di discussione che frammenta le parole del vescovo.

Li amo questi momenti: Il ribollire del dubbio, la linea di confine che si espande, l’entusiasmo di una gioventù che cerca di ritrovarsi per far ritrovare. Quando ci si trova in momenti come questo, non si può che ascoltare, accogliere e finalmente riflettere sulla grandezza dello Spirito Santo che parla, tocca e invia.

La nostra epoca non è per un cristianesimo consolatorio, dobbiamo saper provocare il mondo, immergerci in esso con tutti i pericoli che questo comporta, ma non possiamo starcene seduti ad aspettare che il cielo si apra improvvisamente.

«Giovani, ormai dobbiamo capire che siamo una minoranza. Dio non si scandalizza del nostro peccato, ma della pigrizia del cuore. Dobbiamo uscire dalle sacrestie ed entrare nella storia. Oggi stiamo tutti al telefonino, ma non comunichiamo mai. Non lasciatevi affittare dal mezzo, il metodo di Dio è quello della carne. Voi dovete andare nelle discoteche perchè nessun luogo è inadatto alla persona di Dio. Lui non ha bisogno di guerriglieri e spadaccini, ma di testimoni sereni e gioiosi. Voi giovani dovete essere lievito, fermento, fecondità».

Eccoci dunque, siamo arrivati al tema centrale della JMJ di Rio 2013 dal titolo “Andate e fate discepoli tutti i popoli!” (Mt 28,19) La nostra identità è la fragilità, la povertà, il peccato, eppure siamo stati chiamati ad essere discepoli. Ci sarebbe bisogno di qualche momento di silenzio e meditazione per comprendere quanto sia complicato e immensamente grande questo passaggio, eppure mi pare di intravedere un ponte in questa frase del vangelo di Matteo, un filo che lega la fragilità alla santità, il dolore alla gioia, l’identità nostra e quella di Dio.

È il fare. È il buttarsi nell’altro e per l’altro. È il combattere la propria fragilità uscendo dal rifugio. È il non aver paura di fare che in fondo al gioco ci salva. «Intendete bene questa frase che vi dico – continua Menichelli – ragionare poco davanti a Dio. Il giovane non deve convertire, converte solo Dio. Il giovane deve annunciare la parola di Gesù che viaggia dentro l’umanità. Coraggio figlioli, i discepoli non avevano l’otto per mille, erano senza auto e senza il digitale, ma hanno rovesciato il mondo».

Un applauso scrosciante con sorriso allegato si alza dalle pareti della chiesa. L’ora di catechesi è passata in un lampo. Mi alzo. Bisogna che vada a buttare giù due righe. Attraverso la fine della navata centrale ed esco dalla chiesa. Con stupore, un raggio si sole squarcia il cielo e mi scalda il volto. Mi fermo un attimo con lo sguardo sulla spiaggia di Icarai, forse è cominciata la fine della tempesta.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons