L’ultimo Gesù di Michelangelo esposto all’Ambrosiana

 L'opera sarà esposta nella pinacoteca milanese fino al 6 marzo.
Crocifisso di Michelangelo

Un minuscolo pezzo di legno lavorato a forma di crocifisso. Un uomo appena abbozzato in alcune parti, più rifinito in altro. Un volto che esprime suggestiva intensità. È il crocifisso che rimarrà in mostra alla Pinacoteca ambrosiana fino al 6 marzo 2011.

Quei pochi centimetri di legno intagliato, ancora quasi un bozzetto, sono di un autore d’eccezione: Michelangelo. Nasce con questa mini rassegna la collaborazione tra l’istituzione milanese e la raccolta fiorentina di Casa Buonarroti che dell’artista conserva sculture, disegni e carte. Collaborazione che produrrà altri appuntamenti sui due geni rinascimentali, Leonardo e Michelangelo.

 

Ma torniamo all’ospite attuale dell’Ambrosiana: un pezzo unico, assegnato con certezza alla tarda età del maestro. Scoperto dalla critica recentemente, la sua autografia è sostenuta da documenti presenti in mostra. Tra questi, due lettere degli assistenti di Michelangelo, del 1562, in cui richiedono per suo conto una scatola di arnesi specifici per scolpire «uno Crocifiso di legnio».

 

Un lavoro “non finito” che parla lo stesso linguaggio straziato della Pietà Rondanini, spiega Pina Ragionieri, curatrice della mostra. La data in cui si attribuisce con certezza l’opera a Michelangelo è il 1964, quando Charles de Tolnay, in una conferenza tenuta a Bonn e pubblicata l’anno successivo, attribuì con determinazione a Michelangelo il piccolo Crocifisso ligneo della Casa Buonarroti, datandolo con ampia documentazione all’estrema vecchiaia del maestro. La critica ha accettato compatta l’autografia di questo commovente capolavoro.

 

Con ogni probabilità fu il nipote di Michelangelo, Leonardo, al suo ritorno da Roma dopo la morte dello zio, a portare nella casa di famiglia il bozzetto, che sfuggì per secoli all’indagine degli studiosi; lo citano però, senza indicarne l’autore, gli inventari della Casa datati 1859, 1880, 1896 con la stessa definizione: «bozzo in legno d’un Cristo in croce mancante delle braccia».

 

Tolnay poté dichiarare che prima della sua attribuzione l’opera era stata menzionata non più di tre volte: nel 1865 da Angiolo Fabbrichesi nella sua Guida della Galleria Buonarroti, dieci anni dopo in quel Ricordo al popolo italiano che fu pubblicato in occasione del quarto centenario della nascita di Michelangelo; e nel 1913 dal Thode, che lo riteneva di cera, e dubitava assai che fosse del Buonarroti.

 

L’opera, dicono gli esperti, si impone per un’emozionante coincidenza stilistica con gli splendidi disegni di crocifissi della vecchiaia in cui Michelangelo ritrae Cristo in croce da solo o con due figure ai lati. Particolarmente coinvolgente è il rapporto con il disegno del Cristo in croce con la Vergine Maria e San Giovanni, oggi al British Museum, il quale a sua volta si collega per contenuti non soltanto formali con la dolorosa Pietà Rondanini.

 

Nel piccolo Crocifisso si rinviene la stessa cifra di queste opere sconvolgenti, espressione estrema di uno spiritualismo geniale, ma anche esempio supremo di quel “non finito” di Michelangelo di cui si intravedono le motivazioni solo se lo si interpreta come esistenziale impossibilità di procedere oltre.

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