Lorenzo campione. Ha perso lo sport

Senza quel piccolo aiuto Valentino poteva vincere il Mondiale? Un gesto di rabbia può costare un mondiale, ma una condotta antisportiva reiterata può distruggere la credibilità di un sport intero
Moto GP

Tre, due uno… a tutto gas e via di adrenalina pura: è la MotoGP, un spettacolo ad alta tensione sul filo dei 100, 200, 300 chilometri orari. “Pensare in fretta quando stai andando a oltre 300 chilometri orari non è facile, ma se vuoi vincere devi riuscirci”: così parlò Casey Stoner, vincitore del campionato del mondo in MotoGP nel 2007 e nel 2011, poi ritiratosi per una clamorosa serie di infortuni.

 

Difficile trovare espressione migliore per sintetizzare un finale di stagione del Mondiale MotoGP 2015 che probabilmente nessuno avrebbe immaginato. Un’annata che finisce tra i veleni: lo spagnolo Jorge Lorenzo ha vinto il titolo chiudendo primo il GP di Valencia, evidentemente, e alquanto tristemente per le leggi dello sport più genuino, “scortato” dalle Honda, rivali, guidate dai connazionali tuttavia alleati Marquez e Pedrosa. Il nostro connazionale Valentino Rossi deve così accontentarsi di un secondo posto nella classifica piloti (325 punti contro i 330 di Lorenzo): Lorenzo avrà anche vinto ma purtroppo, al netto di sterili campanilismi internazionali, stavolta ha perso lo sport.

 

Per capirne il motivo potrebbe già bastare riascoltare le dichiarazioni del vincitore iberico a fine gara: “Marquez e Pedrosa avevano capito che mi giocavo moltissimo, magari in un altro tipo di gara potevano rischiare di più e sorpassarmi. Invece sono stati molto bravi perché il titolo rimanesse in Spagna” ha affermato il neo iridato della MotoGp. “La verità – ha aggiunto Lorenzo – è che ho fatto una gara in cui ho dato il massimo e le Honda andavano molto bene, era difficile mantenere la concentrazione e stargli davanti. Loro sono spagnoli come me e sapevano quello che mi giocavo. Magari senza quel piccolo aiuto Valentino, che ha fatto una grande gara rimontando dall’ultimo al quarto posto, poteva vincere il Mondiale. Allora questo titolo è mio, è nostro, ma anche della Spagna”.

 

Sì, perché un pilota capace di rimontare voracemente dall’ultima posizione, la 26°a, ed arrivare quarto, sfiora la leggenda, ammesso che il mitico 46 di Tavullia avesse bisogno di ricordare il suo incommensurabile talento dopo ben 9 titoli mondiali già inanellati in carriera. Eppure non vince il mondiale, perché a 300 chilometri orari, due settimane fa in Australia, a velocità supersonica, tenacia e talento hanno lasciato il posto alla rabbia. Quella che talvolta segna il confine tra il campione leggendario e il semplice grande pilota, quella che in quell’espressione di Casey Stoner di cui sopra è sottintesa quale rischio fatale. La storia ricorderà come in Australia, nel penultimo atto della stagione, Marquez su Honda, fuori dai giochi per il titolo, abbia incalzato e provocato in quell’occasione un teso Rossi, per favorire il connazionale Lorenzo e la sua casa motociclistica rivale, la Yamaha: ricorderà la sua “entrata a testa bassa” dall’esterno contro Rossi, in traiettoria interna e ormai pronto a fuggire verso il trionfo, e la pedata di reazione del nostro Rossi, una macchia indelebile nella scintillante carriera del leggendario “Vale46”.

 

A 300 orari Vale46 perse la testa… come talvolta accade ai più grandi, come Zidane nella celebre finale del Mondiale di calcio 2006 a Berlino contro la nostra Italia. Adrenalina e tensione, un errore di reazione ad una squallida tenuta antisportiva altrui: già lì era sfumato un mondiale dove tuttavia il mondo ha riconosciuto ancora una volta la scintillante andatura di un fenomeno nostrano di questo sport, costretto di fatto a lottare non con uno, bensì con due piloti, peraltro dotati e forti, e la loro “strana alleanza” in salsa iberica. Poi, ieri, l’ultimo atto, con gli spagnoli a festeggiare a fine gara, spudoratamente insieme. “Marquez ha fatto il guardaspalle di Lorenzo: l’avevo già detto giovedì, ero convinto che sarebbero andati fino in fondo, ero sicuro che avrebbero fatto il biscottone” – ha commentato amaro “il Dottore Rossi.

 

"Sono triste, una grande occasione è sfumata e non me lo meritavo: dal Gp Australia è successo qualcosa di strano, il comportamento di Marquez è stato veramente imbarazzante; da Philip Island tutto è cambiato e tutti anche oggi hanno visto come il nostro sport ha fatto una figura bruttissima. E non capisco come la Honda possa accettare un comportamento simile nei confronti di una casa rivale”.

 

L’abbraccio con il re Juan Carlos suggella così il trionfo a Valencia di Jorge Lorenzo, prima di salire sul podio insieme con i connazionali Marquez e Pedrosa: il maiorchino avrà anche vinto il suo quinto titolo di campione del mondo, ma quei fischi al podio rivolti dal pubblico sotto il palco, pur presto soffocati dal silenzio rispettoso per l'esecuzione degli inni nazionali, appaiono la più evidente dimostrazione di come non basti alcun titolo per salvare la dignità dello sport. Un gesto di rabbia può anche costare un mondiale, come accaduto a Valentino, ma non ne scalfisce leggendario talento, passione e dignità sportiva; partecipare di una condotta antisportiva reiterata può costare invece la credibilità di un movimento intero e soprattutto di chi se ne rende protagonista, come accaduto a Marquez, annacuqando anche i trionfi altrui. Chi ha orecchie da intendere…

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