L’innovazione è comunione

Un nuovo modello di governance sociale, ispirato al carisma dell'unità ha coniugato libertà, giustizia e fraternità. Lo presenta un libro di Città Nuova con un'intervista ad una delle autrici, la sociologa Vera Araujo
Vera Arujo

Trento era stata la sua città. Doppiamente. Vi era nata e vi aveva vissuto l’esperienza che più le avrebbe segnato la vita: scoprire l’attualità del Vangelo mentre nel 1943 tutto crollava sotto il peso delle bombe. Ma vi è anche una terza ragione. A lei, Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, nel febbraio 2010 l’Università di Trento aveva dedicato un convegno che analizzava l’impatto della sua storia personale in ambito economico, teologico, filosofico e culturale. Tutte declinazioni di una razionalità relazionale che dal '43 in poi ha risposto in modo puntuale al dilemma della nostra società post-industriale, giungendo a formulare un modello di governance sociale.

Molti gli studiosi che hanno dato il loro contributo storico, sociologico, economico, filosofico e teologico a questo appuntamento, diventato a distanza di due anni, un libro edito da Città Nuova: Comunione e innovazione sociale. Il contributo di Chiara Lubich, Il volume conta però anche di altre voci. Tra queste. quella della sociologa brasiliana Vera Araujo. A lei abbiamo rivolto alcune domande.

Dottoressa Araujo in questo tempo che è prima di tutto crisi quanto bisogno abbiamo oggi di “comunione e innovazione sociale” ?
«La parola crisi può avere una doppia valenza positiva o negativa. Il nostro tempo è prima di tutto un momento di cambiamento e di innovazione. Per questo va visto anche come tempo di opportunità. La nostra è una società che ha raggiunto un certo livello di sviluppo, conseguenza logica sia politica che economica di quanto costruito. Ma come poter andare avanti? Nel messaggio di Chiara Lubich sono i valori antichi del Vangelo che vengono ripresi come novità, come risposta alle sfide. La decisione stessa di organizzare il convegno a Trento, presa da un polo universitario laico, è un segno di formale riconoscimento al messaggio della Lubich, efficace per questo tempo perché declinabile in vari ambiti  (filologico, teologico, economico e della vita culturale). La forza di questa proposta sta nel fatto che è capace di innervare le varie discipline, di creare una cultura nuova, di pace e fratellanza universale inclusiva e non esclusiva. Son rimasta impressionata, quando al termine dei due giorni, in molti hanno detto:  “Speriamo che altre università portino avanti queste riflessioni”»

A proposito della pace che il nostro tempo ricerca con insistenza: cos’era la pace per la Lubich?
«Il suo messaggio parte da un vissuto forte. Per Chiara la pace non è solo assenza di guerra, ma la costruzione di un mondo che vive in armonia. È un obiettivo che si costruisce nei vari momenti della giornata, dell’anno, di secolo e di un’epoca, che penetra nei vari aspetti della vita interpersonale, civile o economica. Qual è l’oggetto di scambio? L’amore: questa è  la “merce”. In questo Chiara fu una testimone straordinaria, spinta a portarlo nella sua vita e in tutte le sue esperienze»

Don Lorenzo Guetti e Chiara Lubich. Il cooperativismo del sacerdote e l’Economia di Comunione (EdC) della fondatrice dei Focolari. Diverse situazioni e obiettivi, ma stessa terra, Trento, e stessa radice delle due proposte: il  Vangelo…
«Il 1944 ha segnato per Chiara l’inizio di questa avventura. Il Vangelo è stata la scoperta come libro della vita: messaggio che Dio dà per tutte le epoche e i tempi. Per lei fu uno "shock emozionale". Le ha cambiato la vita. Da quel momento non si è più fermata perché è stato chiaro che volesse portare quella sua scoperta a tutti. Quel germe di vita vera, piena e completa aveva il potere di cambiare il mondo e in lei aveva trovato espressione in molte forme: dall’EdC alle cittadelle ad esempio»

E a lei, di Chiara, cosa aveva colpito?
«La semplicità del progetto e la sua radicalità. Se non si colgono questi due aspetti non  si coglie il progetto. Si può leggere in un momento parziale ma che rimane superficiale. Nella semplicità c’è una tale profondità che apre la strada in questa adesione, a sviluppare che neanche noi conosciamo».

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