L’infinito di Morandi

Ad Alba settanta tele dal 1910 al 1962 del pittore bolognese parlano di immortalità.
Giorgio Morandi

Si possono dipingere per quarant’anni gli stessi soggetti, cioè Grizzana, sull’Appennino emiliano, e ritrovare ogni volta lo stupore? È possibile, se il pittore è prima di tutto un poeta. Giorgio Morandi non ha scritto dei versi con la penna, ma col pennello certamente. Si tratta di paesaggi stesi a pennellate ora grasse ora sottili, frammenti d’albero, macchie di rami, cieli sfocati, muri e case.

 

L’eco di un Cézanne qualche volta si avverte nel desiderio di ridurre le forme a geometrie, di condensare gli spazi dentro forme immobilmente astratte. Ma Morandi osa di più o, meglio, trova una sua via specifica. Che è quella dell’allusione. Vedendo i paesaggi grigi, dorati o pallidi, all’apparenza indistinti o poco distinti, si potrebbe pensare ad un poeta ermetico, un Ungaretti del pennello che parla per frasi smorzate, che sintetizza l’emozione in scarne parole e, nel caso del pittore, in filamenti oleosi evocatori delle forme.

 

È un equivoco in cui si può cadere. In verità, osservando da anni le tele morandiane, mi sono reso conto che il poeta di riferimento è Leopardi. Qualcuno potrebbe meravigliarsi, il Leopardi de Alla luna o meglio de L’infinito, con i versi così precisi, scanditi musicalmente come una breve sinfonia, densi di suggestione infinita. Ecco, è proprio il senso dell’infinito, racchiuso nelle modeste dimensioni delle tele, che Morandi comunica. Cosa c’è al di là del cielo azzurro sopra i boschi e gli alberi verde marcio, compressi dentro il quadro, nel Paesaggio 1941? Dove si va oltre La strada bianca (1941), anno di guerra, sotto un azzurro di carta vetrata?

 

È sera o notte boreale nel Paesaggio del 1942, dove si “sente” il colore delle crete e il nero degli alberi, fermi in una immobilità da far spavento: un infinito bloccato quasi con crudeltà? Sono versi (pennellate) corti, densi, alludono a qualcosa che c’è ben oltre la casa o l’albero.

 

Fino a quelle nature del 1962, dai colori ormai schiariti nella pace di chi, dopo avere molto visto, ora può abbandonarsi alla contemplazione: perché è questo l’approdo finale di Morandi, una conclusione spirituale. Sembrerà strano che un pittore “comunista” arrivi ad un simile traguardo. Ma l’arte è sempre un fatto spirituale. Morandi, spinto da quest’urgenza, non ha fatto altro che rivisitare per decenni le stesse cose, dalle bottiglie ai paesaggi. Vi cercava l’infinito, il mistero.

 

Questa stupenda rassegna fa passare, di respiro in respiro, sulle tele, sentendo il battito del cuore di un artista che, man mano che invecchiava, “cresceva” nell’accogliere il cosmo in piccole dimensioni, come la ventina di versi de L’Infinito. Il meraviglioso Paesaggio del 1963 è ormai solo una evocazione di rosa e verdi: le cose sono sparite. Ne è rimasta l’essenza spirituale. Non c’è più bisogno di descriverle.

 

Morandi. L’essenza del paesaggio. Alba, Fondazione Ferrero. Fino al 16/1/11. Catalogo 24 ore cultura.

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