L’incertezza globale

Egitto, Siria e Libia: ogni Paese a modo suo certifica lo stato di grave incertezza che attanaglia diversi Paesi arabi. E arriva il Ramadan…
siria

Lo andiamo dicendo da tempo: la “transizione araba” – termine che da qualche tempo ha preso stabilmente piede per identificare quella che veniva chiamata la “primavera araba” – sta entrando in una fase di profonda incertezza. Con le nostre preziose fonti locali, abbiamo cercato di capire meglio come si stiano sviluppando le diverse questioni aperte nei tre Paesi sotto i riflettori: Egitto, Siria e Libia.
 
In Egitto la situazione è nebulosa, come al solito. Di positivo c’è che Piazza Tahrir è calma e non c’e violenza nelle strade. Tuttavia il lungo periodo d’incertezza comincia a portare gravi danni “collaterali”, come l’aumento vertiginoso della criminalità, il crescere dei disservizi in particolare nei trasporti, la frequenza lievitata dei delitti con firma islamista a proposito di costumi e di morale. Mentre l’economia va a rotoli, anche se non esistono indicatori particolari del baratro, visto che i servizi di statistica non sono efficienti e credibili, e mentre l’emigrazione giovanile raggiunge livelli stratosferici: chi può se ne va lontano alla ricerca d’un lavoro.
Anche politicamente va detto che si è in attesa di qualcosa di nuovo: il neoeletto presidente Morsi ha viaggiato in Arabia Saudita e in Etiopia, e ha incontrato Hillary Clinton al Cairo (sia detto tra parentesi, i rappresentanti delle comunità cristiane hanno rifiutato di incontrarla, per protestare contro l’ondivaga politica statunitense in Egitto, che sembra aspettare di capire chi vincerà nel braccio di ferro per decidere poi come agire). Contrariamente a quanto promesso, poi, Morsi non ha ancora nominato il premier e il consiglio dei ministri.
 
In Siria (nella foto) il peggio ormai sembra arrivato, come segnalavamo nelle scorse settimane. Nonostante l’attacco al cuore del suo regime che sa tanto di operazione dei servizi segreti di qualche Paese occidentale in combutta con qualche fazione siriana – attentato, lo ricordiamo, che ha provocato la morte del ministro della difesa e del capo dell’Intelligence, e il ferimento del ministro degli Interni –, il presidente Assad non molla ancora la presa, anche se sembra in gravi difficoltà: l’esercito sembra sfuggirgli di mano dopo mesi di guerra civile de facto, sia nel senso delle defezioni che nella direzione dell’incontrollabilità di alcune decisioni sanguinarie. La precarietà della vita della gente ha raggiunto livelli insopportabili, tanto che chi può se ne va dal Paese, soprattutto chi ha appoggi familiari all’estero. E cominciano le domande di status di rifugiati in diversi Paesi europei da parte di chi si definisce “combattente per la libertà”.
Nei fatti la popolazione è ancora divisa in due blocchi, che però al loro interno non sono certo monolitici: se tra i nemici di Assad ci sono milizie mercenarie, servizi segreti occidentali, commercianti d’armi del Golfo, sunniti sinceramente schierati contro colui che li aveva schiacciati da decenni e qaedisti non si sa bene di che estrazione, dall’altra gli alawiti sono alleati con la maggioranza dei cristiani, con minoranze sciite che non vedono di buon occhi l’arrivo dei sunniti, con la massima parte di coloro che vivono per via delle attività e dei profitti dell’esercito. L’Onu, in particolare con Kofi Annan, cerca ancora una soluzione diplomatica, superando i veti incrociati che bloccano il consiglio di sicurezza; anche se appare sempre più evidente che solo un equilibrato intervento di forze multinazionali potrà portare una qualche soluzione alla guerra civile in corso. Se il regime di Assad crollasse improvvisamente, è evidente che comunque la pacificazione del Paese sarebbe tutta da fare.
 
Infine la Libia, dove non si riesce ancora a capire chi ha vinto le elezioni per la Costituente (che dovrebbe rimanere in carica un anno e mezzo, prima di dar spazio ad una vera e propria legislatura). Se i liberali dell’attuale premier Jibril sembrano avere la maggioranza relativa tra gli 80 seggi attribuiti ai partiti, sembra lontana la soglia dei cento più uno eletti necessari per avere la maggioranza. Perché il maggior numero di eletti sono indipendenti, e paiono una somma di interessi locali, particolarissimi e difficilissimi da riunire. I Fratelli musulmani, risultati sconfitti nella lotta tra partiti, potrebbero così ritrovarsi vincitori della prima tornata elettorale della Libia. Ma solo a fine luglio si saprà l’esito delle votazioni. Anche qui, l’incertezza regna sovrana.
 
Ultima variabile, comune a tutto il mondo arabo-musulmano: comincia il Ramadan, il periodo di digiuno nel quale il ritmo della vita rallenta sensibilmente, tanto più che siamo in una stagione caldissima. Tante questioni potrebbero così essere riprese solo alla fine del Ramadan.

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