L’Illimani e i laureati a spasso

Quant’è diverso il mondo quando lo si vede lontano da casa. È forse più bello
La Paz

Ho appena guardato le pagine Internet dei principali quotidiani mondiali. Anche italiani. Obama che cerca di far approvare lo sforamento del deficit Usa, la guerra di Libia che s’è insabbiata, gli scioperi in Cina… E poi Napolitano che ricorda agli italiani che la capitale è Roma, i NoTav che continuano la loro battaglia, la notizia che il 30 per cento dei giovani laureati italiani di meno di 34 anni sono a spasso, anzi no, sono a casa.

 

Nulla di strano, se si esclude che, nel mio limitatissimo orizzonte, di fronte al tavolino sul quale ho poggiato il mio computer collegato col mondo svetta l’Illimani, la montagna che sovrasta La Paz, in Bolivia, con tutti i suoi 6 mila e passa metri. È un incanto della natura, anche se la metropoli umanissima a 3600 metri d’altezza che si stende sotto la possente montagna – le pareti del canyon di La Paz sono rivestite di case e casupole del color del mattone – richiama l’umanità che la abita, troppo spesso sofferente, troppo spesso abbandonata.

 

Roma è lontanissima, e così Milano, Riccione, Cortina e Positano. E tutto quanto non è Bolivia. In questi giorni col collega Alberto Barlocci di Ciudad Nueva argentina sto intervistando manager e deputati, vescovi e avvocati, per penetrare in questo mondo complesso com’è il Paese che sta al cuore del continente latinoamericano: le vicende politiche, dominate dalla figura del presidente-indio Evo Morales; la povertà endemica del Paese andino, seconda in questo continente solo ad Haiti; la dominazione delle multinazionali, ancora fortissima; la complessa relazione tra le religioni tradizionali aymara e quechua con il cattolicesimo; la straordinaria generosità di tanta gente impegnata in opere sociali…

 

E mi dico che tutto è così diverso da Roma, da New York e da Pechino. Eppure tutto è anche così uguale: il potere e i suoi tentacoli, la bontà di tanta gente, la miseria di altri uomini e altre donne, i soprusi e la lotta per i diritti umani, la spiritualità che cresce nei cuori come e dove non si può prevedere. Mi sono trovato in situazioni insolite, senza apparente vie d’uscita: forature, autobus che non arrivano, problemi burocratici… Ma la soluzione è sempre arrivata, nei modi più imprevedibili e più creativi che si possano immaginare. Per i boliviani nulla è impossibile.

 

L’estate è arrivata da noi, il Parlamento chiude, le fabbriche pure, ci si abbandona al riposo della vacanza (chi può permettersela), si fanno i conti con sé stessi e col mondo. Insomma, si cerca uno spazio di ristoro, per vacuare, per “fare il vuoto”. Ma dovunque siamo, la complessità della vita torna a galla, e non riusciamo a liberarcene. Ma la distesa slanciata di ghiaccio dell’Illimani suggerisce sentimenti di fiducia nell’altro e nell’Altro, come invita a credere anche la “cosmo-visione” degli aymara. E la distesa di mattoni della città boliviana suggerisce invece la ricchezza dei mille cuori di uomini e donne che vi vivono, che soffrono e amano, che cercano e che s’abbandonano. Che trovano soluzioni inattese ai loro drammatici problemi.

 

Non è che il mondo è forse più bello e buono di quanto non si possa pensare?

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