L’Europa unita ha bisogno anche dell’Est

Un recente viaggio in Macedonia mi ha dato modo di riflettere su quanto sta vivendo una parte dell’Europa, quella occidentale. Insisto: una parte
Macedonia

Mai come nei giorni trascorsi nel piccolo Paese – dal passato che si radica nella storia antica della Grecia e dell’impero romano, nell’arrivo delle popolazioni slave e, a seguire, dell’impero Ottomano, per finire con la Jugoslavia di Tito – ho capito quanto fosse nel giusto un papa slavo, Giovanni Paolo II. Non si stancava di dire che l’Europa respira con due polmoni.
 
A Skopje e, soprattutto, nell’interno del Paese, non si parla di spread e nemmeno di crisi finanziaria mondiale. Qui i problemi ci sono e seri, basti pensare al 36 per cento di disoccupazione, ma l’abitudine è quella di non lamentarsi e trovare soluzioni alternative, magari coltivando l’orticello di casa per integrare il salario – che quando va bene raramente supera i 300 euro – con un raccolto di cipolle che, comunque, non va oltre i 500 o 600 euro all’anno, o semplificando quanto si mette sulla tavola. Eppure, nulla va a scapito dell’ospitalità, che è calorosa e per la quale non si bada a spese. Nemmeno si rinuncia a momenti importanti di festa di famiglia. Nonostante i problemi, i rapporti tengono e si cerca di vivere sulla sicurezza che infondono all’individuo e alla comunità.
 
Spesso, in diversi ambiti, sia istituzionali che informali, sono stato interpellato sulla possibilità della presenza della Macedonia nell’Unione europea. Da un lato, ho colto interesse e desiderio di farne parte, dall’altro uno scetticismo provocato dall’impressione di dover entrare in una griglia che snaturerebbe l’essere sociale del Paese. Eppure non mancano criticità radicate, soprattutto a livello di rapporti fra etnie, gruppi linguistici e religiosi. Si sa bene che la storia mondiale dell’ultimo secolo, dalla Prima guerra mondiale in poi, ha trovato nei Balcani le scintille per conflagrazioni di cui hanno fatto le spese il mondo e le popolazioni locali. Le tensioni restano, tuttora, sebbene si stia lavorando per individuare strade che permettano di risolverle e, sui tempi lunghi, di prevenirle.
 
Detto questo, sono tornato nell’altra metà del nostro continente con la convinzione che l’Occidente dell’Europa ha bisogno del suo “polmone” orientale e, ovviamente, questo non può fare a meno del primo. C’è bisogno di qualcuno che ci aiuti a sollevare lo sguardo dai titoli dei nostri giornali e telegiornali che non cambiano da mesi, forse da anni. La presenza in Europa di questi Paesi aiuterebbe ad allargare la dimensione del nostro essere europei, magari aumentando i problemi, senza tuttavia fissarci sempre sugli stessi, ma con una diversificazione che aiuterebbe tutti.
 
Per esempio, al di là delle questioni finanziarie, l’integrazione resta il punto chiave della questione europea, di fronte ai processi migratori degli ultimi trent’anni. È su questo, più che sull’economia, che si gioca il futuro del continente. Eppure, è la crisi finanziaria che tiene banco e polarizza l’attenzione, distogliendola da problematiche ben più di fondo e prospettiche. In tal senso, Paesi che possono offrire un’esperienza, sia pure complessa e non sempre positiva, di processi che possono condurre a vivere una vera integrazione fra i diversi gruppi che ormai popolano l'Europa sarebbe di grande valore.
 
Ormai è trascorso quasi un quarto di secolo dal crollo dei muri, ma forse senza che ce ne accorgiamo se ne sono edificati altri con la scusa della sopravvivenza. In questo senso, una giovane repubblica come la Macedonia, da secoli avvezza ai flussi migratori e agli incontri fra culture ed etnie, potrebbe davvero offrire un laboratorio e un contributo prezioso a un’Europa sempre più integrata e capace di trovare un’identità consona ai tempi. Lo stesso problema della finanza e della sua crisi troverebbe, probabilmente, una collocazione meno esasperata.
 

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