Come riportato e descritto ampiamente su Città Nuova, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha comunicato di aver disposto l’invio di una nave militare italiana a protezione della Global Sumud Flottilla diretta a Gaza, con l’intenzione di portare aiuti alimentari alla popolazione stremata della Striscia.
La missione umanitaria promossa da rappresentati di associazioni e movimenti sociali è consapevole di esporsi all’ostilità dichiarata delle forze armate israeliane, che controllano impropriamente il tratto di mare davanti alla Striscia di Gaza. La mossa di Crosetto sembra rientrare nella categoria più vasta del pacifismo della deterrenza, anche se le regole di ingaggio della Marina Militare non contemplano l’intercettazione di eventuali droni lanciati contro le imbarcazioni della Flottilla, al contrario di quanto avviene invece nei confronti degli attacchi delle milizie Houthi lanciati contro le navi commerciali in transito nel Mar Rosso, come forma di ritorsione contro l’intervento militare israeliano su Gaza in atto ormai da due anni, dopo l’eccidio perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023.
Come si dice in gergo diplomatico la situazione è “preoccupante” per il possibile insorgere di un casus belli, anche perché le reti solidali di terra con la Flottilla hanno annunciato di voler “fermare il Paese” davanti ad ogni azione ostile di Israele. La situazione può scappare di mano. È annunciata da tempo per il 4 ottobre una manifestazione nazionale a Roma da parte di diverse organizzazioni sostenitrici della “resistenza” palestinese.

Manifestazione a Torino 09 settembre 2025 ANSA/TINO ROMANO
Lo scenario della crisi di un ordine occidentale garantito dal ruolo degli Usa sembra aggravarsi a passi veloci. Sul fronte dell’Est, infatti, si fronteggiano ormai da tempo velivoli e droni militari russi e della Nato, con la partecipazione dell’Italia che schiera i suoi cacciabombardieri F35. Lo scivolamento verso la guerra non pare più accidentale e viene ormai apertamente minacciata, come da tempo si discute nei centri studi militari.
La volontà di pace sembra diffusa tra la popolazione italiana, come dimostra l’adesione spontanea alla manifestazione del 22 settembre sull’onda dello sdegno per il massacro in atto a Gaza che ormai in molti definiscono apertamente come un genocidio. Avvengono prese di posizione inaspettate, come l’aperta contestazione da parte di molte associazioni cattoliche e delle chiese riformate, contro la pervasiva presenza militare alla mostra Seafuture in corso a La Spezia fino al 2 ottobre 2025.
Uno scenario complesso che cerchiamo di affrontare con questa intervista a Francesco Strazzari, professore ordinario di relazioni internazionali presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Quali sono i fattori che hanno portato all’attuale contesto di rivalità globale e alla messa in discussione dell’ordine occidentale?
L’attuale contesto di rivalità è il risultato di diversi fattori storici e geopolitici. Dopo la fine della Guerra Fredda, l’idea di una pace duratura, almeno nel Nord del mondo, è stata smentita da eventi come la crisi finanziaria del 2008 (nata a Wall Street e non nelle periferie del sistema), gli attacchi dell’11 settembre (che hanno mostrato la vulnerabilità delle infrastrutture civili al terrorismo non statale) e la “guerra al terrore”, che si è rivelata inefficace e ha alimentato nuove instabilità. A ciò si aggiunge la crescente multipolarità del mondo, con l’emergere di potenze come Cina, India, Brasile e Russia, che stanno ridefinendo l’equilibrio globale e mettendo in discussione l’egemonia occidentale e i suoi valori fondanti.
Qual è il ruolo della Russia nell’attuale contesto geopolitico e quali sono le sue motivazioni?
La Russia, sotto la guida di Putin, cerca di “rigiocare la partita” dopo aver perso la Guerra Fredda e la sfida della globalizzazione, che l’hanno lasciata impoverita. Le sue motivazioni sono radicate in un profondo risentimento e nel desiderio di ripristinare il suo status di superpotenza. Questo si manifesta attraverso la militarizzazione del paese, la repressione interna, l’uso brutale della forza (come in Ucraina) e la promozione di un’ideologia nazionalista e reazionaria, che esalta la capacità russa di sopportare immense perdite e la presenta come una civiltà unica. La Russia, pur non avendo l’efficienza tecnologica di altre potenze, è disposta a pagare un prezzo altissimo in termini di vite umane per le sue ambizioni.

Parata della vittoria a Mosca, 9 maggio 2025 EPA/MAXIM SHIPENKOV
In che modo la guerra moderna è stata “disumanizzata” e quali nuove tecnologie militari la caratterizzano?
La guerra moderna è sempre più disumanizzata dall’uso di tecnologie remote. Droni controllati con joystick, algoritmi che identificano e colpiscono obiettivi autonomamente, e piccoli robot per lo sminamento stanno cambiando radicalmente l’esperienza del combattimento. Inoltre, i segnali digitali e i disturbi elettronici (scrambling) rendono le infrastrutture critiche, sia militari che civili (ospedali, sistemi elettrici, gasdotti), vulnerabili ad attacchi digitali, con la possibilità di manomettere sistemi vitali da remoto.
Chi ha, di fatto, impedito che si realizzasse la proposta di Gorbaciov per una “casa europea comune” dopo la caduta del Muro di Berlino?
Il disegno di Gorbaciov per un’architettura di sicurezza europea comune, basata sulla cooperazione e sul disarmo, fu di fatto “umiliato” dall’espansione della NATO. Sebbene si usasse il termine “allargamento” per evitare connotazioni imperialistiche, l’espansione della NATO verso est fu percepita come un’umiliazione del progetto di Gorbaciov, che mirava a una casa europea unica, in continuità con lo spirito dell’atto di Helsinki degli anni ’70. Questo processo di allargamento della NATO ha preceduto e talvolta anticipato l’allargamento dell’Unione Europea verso est, spostando progressivamente le basi militari più a oriente e alimentando il risentimento russo.

Mikhail Gorbaciov e Margaret Thatcher in una foto d’archivio
ANSA
In che modo l’espansione della NATO è stata giustificata e percepita all’epoca?
L’espansione della NATO, avvenuta nel contesto post-Guerra Fredda, dove non c’era più un’opposizione ideologica chiara, fu vista da molti come un’azione non particolarmente controversa. L’idea era che la NATO, definita il “solco della democrazia”, necessitasse di uno scheletro militare e che l’inclusione dei paesi dell’Est fosse parte della sua vocazione. Anche settori progressisti fecero poco per contrastare l’allargamento. Tuttavia, chi all’epoca metteva in guardia contro un’espansione verso il patto di Varsavia senza un nemico chiaro, veniva spesso liquidato con l’argomento che non farlo avrebbe tradito la vocazione inclusiva della NATO. Questa inclusione, tuttavia, ha portato a uno spostamento delle basi sempre più a est, generando risentimento e un senso di umiliazione in Russia.
Come si può uscire da tale deriva? Cosa potrebbe fare l’Unione europea?
Siamo di fronte a posizioni contrapposte. L’attuale situazione, vista come un risultato dell’allargamento dell’Occidente, viene percepita dai russi come una giustificazione delle proprie azioni. Ma mentre Putin continua a invocare la necessità di affrontare le “radici profonde della guerra” e difendere l’ordine di sicurezza in Europa, i Paesi dell’Est Europa, che hanno subito ripetutamente l’invasione dei carri armati russi, resistono a quella che considerano una volontà imperiale russa di decidere i loro regimi. Esiste una profonda frattura tra la prospettiva russa, che rivendica una sfera d’influenza, e quella dei Paesi dell’Est, che difendono la propria sovranità. L’interesse europeo dovrebbe essere quello di non esacerbare questa frattura e di far comprendere ai popoli intermedi che la loro stabilità è legata a un modus vivendi tra Europa e Russia, piuttosto che al nazionalismo.

Ursula von der Leyen con il segretario generale della Nato Mark Rutte a Tirana, 16 Maggio 2025. EPA/PETER KLAUNZER
Qual è la “crisi d’anima” dell’Europa nel contesto geopolitico attuale?
L’Europa si trova in un percorso complesso, caratterizzato da una “crisi d’anima” e da una qualità delle classi dirigenti che si assottiglia. Il progetto europeo, che ambiva a mantenere standard etici più elevati e a distinguersi da altre potenze (es. non giustificare la tortura), sta affrontando una trasformazione. Dopo un periodo in cui si credeva in una visione più etica, l’Europa ha iniziato a sentire la mancanza di una “visione geopolitica”, riconoscendo di non potersi più legare ciecamente agli Stati Uniti come nel dopoguerra. Essendo un “nano militare” e un “gigante economico”, l’Europa si interroga sulla necessità di militarizzarsi. Tuttavia, la militarizzazione in corso è in gran parte guidata dagli Stati Uniti e da poche grandi imprese militari, rendendola un processo antidemocratico che rischia di compromettere gli investimenti in sanità e socialità a favore di armamenti e interessi privati.
Qual è la sfida principale per quella parte della società civile impegnata per la pace ?
La sfida principale è la difficoltà nel tradurre il consenso diffuso per ipotesi di pace, socialità e inclusività in un’effettiva influenza sugli equilibri politici. Nonostante la maggioranza delle persone sia guidata da un senso comune non bellicista, c’è un problema di “spazio comunicativo” e di “produzione del consenso”. Le tecnologie e le piattaforme sono state in gran parte catturate da chi ha un’agenda opposta, generando un effetto moltiplicatore per opzioni belliciste, la paura dell’immigrazione e altre istanze simili. Le strutture associative spesso faticano a mediare le opinioni della maggioranza e a farle arrivare ai punti decisionali.