L’enigma del Sator

Di epoca in epoca si riaccendono l’interesse e la curiosità per una formula tramandata dall’antichità di cui ci sfugge ancora il significato profondo
Mosaico del Sator ad Aosta

Uno degli angoli più suggestivi di Aosta è la piazzetta sulla quale si affaccia la collegiata dei Santi Pietro e Orso. Domina il sagrato, in posizione isolata, l’imponente campanile romanico alto 44 metri, cui corrisponde la massa arborea di un tiglio che si dice vecchio di 500 anni. Assieme alla cattedrale, questa chiesa costituisce la testimonianza di maggior rilievo della storia dell’arte sacra in Valle d’Aosta, grazie soprattutto al ciclo di affreschi dell’XI secolo, alle bellissime vetrate realizzate tra la fine del 400 e gli inizi del 500, agli stalli lignei intagliati, alla cripta divisa in cinque navatelle (la parte più antica del complesso) e al chiostro ornato di splendidi capitelli istoriati. Ma non è tanto di queste preziosità che mi accingo a parlare.

Nel 1999, durante dei restauri effettuati al di sotto dell’attuale pavimento dell’abside, al centro della zona del coro riservata ai canonici, veniva scoperto un mosaico medievale di eccezionale fattura, oggi visibile attraverso un vetro. Una serie di fasce circolari inscritte in un quadrato fanno da cornice alla decorazione centrale: un tondo rappresentante Sansone che lotta contro un leone afferrato per le fauci. La fascia più esterna contiene un’iscrizione in latino in versi. La mediana è decorata da un disegno che rappresenta un complesso intreccio di nodi alternati. Nella fascia più interna, tra due cerchi di piccoli triangoli, sono riportate cinque parole latine, ognuna di cinque lettere: ROTAS OPERA TENET AREPO SATOR.

Di che si tratta? Di un’iscrizione nota da ben duemila anni, rappresentata sia in epigrafi lapidee sia in graffiti e disegni su antichi codici rinvenuti in numerosi siti d’Italia (almeno trenta quelli finora documentati) ma anche nel resto d’Europa, in Medio oriente, Cappadocia, Africa settentrionale. Un’iscrizione la cui fortuna non ha avuto soste, specie dal Medioevo in poi, probabilmente per l’aura di mistero da cui sempre è stata circondata. In genere le cinque parole sono disposte in forma di quadrato magico, dando luogo ad un palindromo, ossia ad una frase che rimane identica se letta nelle quattro direzioni dei lati del quadrato stesso. Fa dunque eccezione, per la raffinatezza e la complessità della decorazione in cui esse sono inserite, il mosaico pavimentale della collegiata dei Santi Pietro e Orso.

L’esemplare completo più antico e famoso è quello rinvenuto nel 1936 su una colonna della Grande Palestra di Pompei, inciso certamente prima dell’eruzione del 79 d. C. Arduo è stabilire il significato della frase composta dalle cinque parole, soprattutto per la difficoltà posta dal termine AREPO, che non esiste in latino (ma nelle Gallie veniva così chiamato un tipo di carro celtico).

Gli studiosi si dividono fra quelli che sostengono l’origine pagana e ludica (nata cioè come gioco) di questa formula, e quelli invece che riconoscono in essa una matrice cristiana, tanto più che il palindromo risulta maggiormente diffuso proprio in edifici ecclesiastici – è il caso appunto di Aosta – forse anche per allontanare influssi maligni.

Tale ipotesi è rafforzata dal fatto che, anagrammando l’insieme delle lettere del quadrato magico, si può comporre una croce i cui bracci sono rappresentati dalla parola PATERNOSTER, avanzando due A e due O da porsi ai quattro estremi della croce come alfa e omega, il principio e la fine di cui parla l’Apocalisse. Questa croce occulta sarebbe stata usata dai primi cristiani in tempo di persecuzione (per i pompeianisti, testimonianza inequivocabile della presenza della nuova fede nella città sepolta dal Vesuvio).

Naturalmente molti altri studiosi hanno posto in dubbio tale tesi e, sempre basandosi su anagrammi, fornito esempi a iosa di altre frasi completamente diverse, perfino blasfeme. La spiegazione più semplice: per gli antichi, notoriamente amanti dei passatempi enigmistici, non era necessario che certi giochi di parole avessero un senso compiuto; era sufficiente che dimostrassero l’ingegno di chi aveva saputo combinarle tra loro con effetto insolito e piacevole. I possibili significati nascosti avrebbero costituito un rompicapo solo nelle età successive, in risposta alle sensibilità e ai bisogni dell’uomo di allora.

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