Le uscite del weekend

I nuovi film sul grande schermo soddisfano tutti i gusti. In particolare convince e commuove “Difret”, la storia di Hirut sul diritto della donna alla propria libertà
I protagonisti di Difret

Tralasciando l’ennesima commedia italiana, di quasi due ore, Sei mai stata sulla luna?, diretta da Paolo Genovese con l’onnipresente Raul Bova, Liz Solari e Sergio Rubini – girata ovviamente in Puglia (ormai sono tutte simili, ma forse incasseranno) -, è meglio concentrarsi su alcuni film, di vario genere.

Difret – Il coraggio per cambiare
Siamo ad Addis Abeba e una ragazzina, mentre torna a casa da scuola, viene rapita e stuprata da alcuni giovani: è l’usanza arcaica, un uomo rapisce la futura moglie, la sposa e tutti tacciono. Hirut, la ragazzina coraggiosa, riesce però a fuggire e uccide per difendersi il rapitore. Scatta il processo, teso a condannarla, conniventi lo Stato e la polizia, custodi della “tradizione”. Sarà un lungo dibattito che una giovane e tenace avvocato, Meaza Ashenafi, condurrà per affermare il diritto della donna alla propria libertà.

Il film è coraggioso, vero, diretto da Zeresenay Mehari, assomiglia in certe parti a un docu-film, ma vibra di dramma in alcune scene e l’interpretazione attoriale è quanto mai convincente e talora commovente. Apre per noi uno spiraglio su un mondo non così lontano come si pensa. Da non perdere.

John Vick
Per il redivivo Keanu Reeves i registi Chad Stahelski e David Letich imbastiscono un film crudo e violento dove l’ex killer John Vick è costretto dall’uccisione della moglie a ritornare nel ”giro”. Il sadico malvivente Josef Tarasof – russo, ovvio – vuole la sua splendida auto a tutti i costi per il figlio super viziato, Keanu non gliela cede, ed è guerra fra i due, fatta di colpi di scena, morti, acrobazie tipiche del genere. Keanu, per fortuna, è aiutato dall’amico Willem Dafoe. Muore e risorge di continuo. Ritmo, adrenalina, fuoco a volontà e Reeves impassibile, gli occhi iniettati di furore. Per gli amanti del genere e le fan di Keanu.

Il nome del figlio
Dopo quattro anni di assenza, Francesca Archibugi ritorna con una vicenda familiare ambientata su una terrazza della Roma-bene, post-sessantottina, post-comunista, ma non troppo, e in effetti un poco irreale. Sono parenti e amici: Paolo, agente immobiliare estroverso e burlone (Alessandro Gassman) con la moglie incinta Simona (Micaela Ramazzotti), scrittrice un po’ “burina”, Betta (Valeria Golino) sposata con Sandro (Luigi Lo Cascio) docente universitario con due figli piccoli e l’amico d’infanzia Claudio (Rocco Papaleo), eccentrico musicista che tutti considerano gay, ma…

Basta che Paolo dica che il prossimo figlio lo chiamerà Benito e la gazzarra post-ideologica si scatena, facendo emergere conflitti latenti e furori reciproci repressi.

Molto parlato, il film non è troppo originale e gli attori lasciati in libertà gigioneggiano, in particolare Gassman, ma Lo Cascio non è da meno. La Ramazzotti ormai da sempre nella consueta parte della “coatta”, mostra addirittura il suo vero parto…

Pur con tutta la buona volontà, il film, corretto fin che si vuole, suona – dispiace – “datato” perché evoca un mondo inesistente o al massimo rinchiuso in ambienti borghesi di sinistra superati. Il gioco al massacro fra i personaggi è gonfiato. Per fortuna, la misura naturale della Golino e la verità semplice di Papaleo salvano la situazione e portano un certo scavo psicologico che in parte riequilibra un racconto teatrale, amarissimo, ma narrato in superficie.

Still Alice
Ecco un film da non perdere. Gli Usa da anni si dedicano al genere “malattia” (si veda Iris, un amore vero con Judi Dench) e questa volta tocca a Julianne Moore rappresentare Alice, una splendida professoressa cinquantenne, felicemente sposata, madre e futura nonna, lottare con l’improvviso Alzheimer. Accade durante una lezione, perde il filo, le si ingarbugliano le parole. Sembra stress, invece è la malattia. Il film segue il decorso del male, la lotta di Alice per non demordere, per ricordare il passato e i figli, fino al perdere anche la facoltà di riconoscerli. È un dolore costante, inarrestabile che la regia di Richard Glatzer racconta con estrema misura e delicatezza, senza patetismi inutili. L’amore dei familiari è tratteggiato con equilibrio profondo. Julianne Moore recita alla grande e meriterebbe certo l’Oscar per come dà anima e corpo alla trasformazione anche fisica del personaggio così struggente.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons