Le serre di Mario de’ Fiori

Una rassegna a Villa d’Este su fiori e giardini per comunicare secondo i codici visivi del periodo della controriforma la bellezza della vita, ma anche il suo tramonto.
Mario de' Fiori

Cosa fosse Roma alla fine del secolo sedicesimo, lo dimostra una rassegna preziosa a Villa d’Este a Tivoli. Fiori a non finire. E non nei giardini, ma nei quadri. Tanto che un pittore, Mario Nuzzi ne dipinse così tanti da venire chiamato appunto, Mario de’ Fiori. A lui è dedicata una via del centro della capitale.

 

Non è che a Roma prelati e nobili commissionassero quadri naturalistici solo per adornare le pareti dei loro palazzi. In verità, raffinati com’erano, nascondevano significati allegorici, detti morali, messaggi religiosi che i vari tipi di fiori, la loro bellezza o la secchezza, il turgore oppure la sfioritura comunicavano in codice a loro stessi e ai visitatori. Insomma, ogni tela era non solo bella da vedere, ma utile da far pensare. Certo, questo modo di comunicare a noi oggi può sembrare strano, artificiale, abituati come siamo alla chiarezza anche violenta degli spot pubblicitari.Ma in piena età controriformistica, dove l’arte doveva comunicare sentimenti elevati, questo modo di esprimersi era naturale. Simbolo e realtà andavano d’accordo, pure per la gente comune.

 

E’ perciò una gioia per gli occhi passeggiare attraverso le vaste stanze della Villa estense, dove 60 opere raccontano sia di Mario de’ Fiori, vissuto tra il 1603 e il 1673, sia dei suoi colleghi. C’è per esempio una tela, raffinatissima, di Erminia tra i pastori circondata da una ghirlanda. La scena dal poema del Tasso è racchiusa da un’esplosione floreale stupefacente: rose, margherite, tulipani, edere, tutti con colori attraversati da una luminosità abbagliante. La storia della guerriera in fuga si trasforma in una cascata di luce. Un altro quadro: Rose, anemoni doppi e altri fiori in un vaso scolpito all’antica, sempre di Mario. Osservando la tela e i colori così ricchi di vita, viene in rilievo l’anima del Seicento, un secolo che ha cantato a gioia di essere vivi come pochi. Qui i fiori, nel loro splendore pieno, sono immagini delle stagioni dell’esistenza umana, come di una giovinezza che non ha fine. Non diversamente si spiegherebbero i rosa che trascolorano in bianco, i blu in celeste, fino a quel garofano rosso che vorrebbe quasi uscire dal quadro.

 

Caravaggio ha aperto, col suo Canestro di frutta, sulla scia di Jan Brueghel il giovane, la strada a fare della cosiddetta “natura morta”- che poi è tutt’altro che defunta – un soggetto a sé stante nella storia della pittura. Caricandolo di significati allegorici, gli ha dato personalità. Oggi, ammirando le tele di Mario e dei suoi seguaci e ripensando che ad esse corrispondevano serre infiorate nei giardini di Villa d’Este, recuperiamo almeno un poco di amore per la natura e di rispetto per la sua bellezza esplosiva.

 

Flora Romana. Fiori e cultura nell’arte di Mario de’ Fiori. Tivoli, Villa d’Este. Fino al 31/10 (catalogo De Luca).

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