Le campane di Rachmaninoff

All'Accademia Nazionale di santa Cecilia in Roma la stagione ha presentato il compositore russo, morto nel 1943, con due lavori.
Gala Rachmaninoff

Il primo, una novità assoluta per l’ Accademia, era la “Cantata per soprano, tenore, baritono, coro ed orchestra op. 35, “Le campane”. Si tratta di quattro brani, corrispondenti ad altrettante poesie di Edgar Allen Poe adattate da Konstantin Balmont per essere musicate nel 1913 dal compositore.

 

La musica è bellissima. L’anima russa che alterna sonorità quasi ultraterrene a ritmi scoppiettanti ed a colori acuti si imprime nell’ascoltatore con una forza soave, e lo fa passare dal pittoresco al funebre, al sogno notturno. C’è il senso del sepolcro ma anche quello dell’aurora, le lacrime e il tintinnio delle campane che evocano villaggi e distese sconfinate. La musica ondeggia fra Mahler e Ciaikowski, ma non è né l’uno né l’altro, tende alla magniloquenza – tipica di Rachmaninoff – ma una volta tanto fugge la retorica e si fa lineare, colorata.

 

Certo, i tre solisti sono di gran razza. Dmytro Popov è tenore lirico dalla salda tecnica, voce ampia ed estesa, fraseggio armonioso; Olga Guryakova è soprano generoso, svettante e il baritono Albert Dohmen ha un canto suadente, forte. L’orchestra, guidata da Antonio Pappano con calda energia, ha risposto benissimo alle sue indicazioni, insieme allo splendido coro. Restituendoci un musicista di cui era inedita la profondità della fantasia.

Questa si è poi rivelata anche nella sua Seconda Sinfonia, lunga e vorticosa, dove l’orchestra si è infervorata nei virtuosismi.

 

 

 

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