L’avventura degli uomini

Tre espansioni a partire dall’Africa. Cinque specie del genere “Homo”. Unità e diversità.  
I due di Laetoli

Laetoli, Tanzania, Africa orientale, 3,7 milioni di anni fa. Il vulcano Sadiman erutta cenere: due individui slanciati e agili, con andatura bipede, un maschio e una femmina, forse madre e figlio, stanno scappando. «Cercano riparo. L’individuo più piccolo a un certo punto si gira verso sinistra, come attratto da qualcosa. Nel tufo resta impressa la prima camminata dell’umanità».

Italia, Campania nord-occidentale, 350 mila anni fa. Tre individui, bipedi, scendono in tutta fretta lungo la vallata del vulcano di Roccamonfina, in eruzione. «Lasciano 56 impronte. Perdono l’equilibrio, scivolano, cercano un appoggio, vanno a zig zag». Di nuovo la cenere si deposita, poi si solidifica, conservando le tracce fino ai giorni nostri.

 

Due eventi che raccontano segmenti dell’avventura dell’umanità, squarciando il velo su ciò che è avvenuto in epoche lontane nel tempo. Tutto inizia in Africa, ormai è chiaro. Discipline diverse convergono nell’indicare che le prime tappe decisive nella storia degli uomini si possono localizzare lì: «Strani primati di grossa taglia» compaiono nelle radure africane, hanno un’andatura eretta, bipede, si muovono in cerca di cibo, «si diffondono, esplorano ambienti inediti». Le prime parole per descrivere le caratteristiche di questi antenati indicano proprio l’acquisizione di un’andatura eretta (diversa dalla nostra), che consente l’uso libero delle mani e la corsa su lunghe distanze, con la conseguenza di potersi spostare facilmente. Nei milioni di anni successivi, infatti, la spinta ad esplorare nuovi ambienti rimarrà una delle caratteristiche principali del genere cosiddetto Homo.

 

Una storia plurale

 

Con questo termine non si indica una sequenza lineare che va dalla scimmia all’uomo, come si riteneva fino a qualche tempo fa. La nostra storia, così come la racconta oggi la scienza, sembra piuttosto una successione di «esperimenti evolutivi», un cespuglio di tentativi, alcuni più, altri meno fortunati in termini di sopravvivenza. Con la conseguenza che nel nostro pianeta, in varie epoche, si sono verificati momenti di “convivenza” tra (almeno cinque) specie del genere Homo, diverse per adattamenti e caratteristiche fisiche, ma simili come attitudini fondamentali: abilità manuale, vita in piccoli gruppi sociali complessi, alimentazione mista. Oltre a questo, un dettaglio rivoluzionario: il lungo periodo infantile e adolescenziale che permette un progressivo, notevole sviluppo del cervello. Questa sporadica convivenza tra “cugini” dura fino a poco più di diecimila anni fa, quando infine la nostra specie, Homo sapiens, rimane, per motivi ancora non del tutto chiari, l’unica sulla Terra.

 

Prima e seconda diaspora

 

La conquista del pianeta inizia circa due milioni di anni fa, quando la specie camminatrice detta Homo ergaster esce per la prima volta dall’Africa e, in ondate successive, attraverso Sinai e penisola arabica, si diffonde nei territori disabitati di Europa e Asia. Tra le cause di questa diaspora, l’alternanza di periodi glaciali e temperati, l’alzarsi e abbassarsi del livello dei mari e quindi delle terre emerse disponibili, le eruzioni vulcaniche, la disponibilità di animali e l’avvicendamento di fasi umide e secche, che finiscono per rendere aride aree prima fertili come il Sahara. Indizi di domesticazione del fuoco, accampamenti, una ricca produzione di strumenti di pietra e uno scheletro trovato vicino al lago Turkana nel 1984 raccontano la storia dell’Homo ergaster, diffusosi nel pianeta per centinaia di migliaia di anni. Nel frattempo, però, sempre in Africa ha fatto la sua comparsa un’altra specie, Homo heidelbergensis, simile alla prima, ma dotata di cervello più grande e tecnologia più sofisticata nello scheggiare le pietre. Anche questa specie, una volta diffusasi in Africa, 650 mila anni fa inizia a espandersi in Europa e Asia, con un flusso migratorio che ricalca i percorsi della prima diaspora. Le tracce lasciate dai nostri antichi cugini manifestano vita comunitaria complessa, capacità di caccia, macellazione di animali e domesticazione del fuoco.

 

Corri Sapiens

 

Infine, circa 200 mila anni fa, nella valle del fiume Omo in Africa centro-orientale, fa la sua comparsa un piccolo gruppo, appartenente a una specie nuova: «Faccia piatta, gambe lunghe, lobi frontali e parietali del cervello ben sviluppati, infanzia prolungata». È capace di apprendere, parlare e creare rapporti sociali complessi. Il piccolo gruppo si moltiplica, diffondendosi velocemente prima in Africa e poi, in tre ondate successive a partire da 120 mila anni fa, nel resto del pianeta: Europa, Asia fino al Pacifico e, attraverso l’istmo di terra in quel momento emersa dello stretto di Bering, America settentrionale e meridionale. Nel suo cammino irresistibile, Homo sapiens incontra altri gruppi, più antichi, stabilitisi nei vari continenti fin dalle due prime migrazioni: in Europa Homo neanderthalensis, di pelle chiara, capelli rossi e sensibilità estetica, abituato al clima inospitale delle glaciazioni; in Asia centrale Ominino di Denisova; nelle isole indonesiane Homo floresiensis e Homo soloensis. Ben cinque specie del genere Homo popolano quindi la terra negli stessi periodi. I diversi gruppi si confrontano, competono per le risorse e le caverne dove vivere, in rari casi forse si mescolano (nel nostro Dna infatti ci sono tracce di quello dei Neanderthal), uno solo infine rimane. La nostra solitudine di specie, però, è un fatto recente: appena 12 mila anni fa, poco prima dell’inizio dell’agricoltura e della storia scritta, scompare Homo floresiensis, ultimo rappresentante rimasto delle prime, antiche migrazioni dall’Africa. In sole ottomila generazioni, dunque, Homo sapiens passa dal primo piccolo singolo gruppo africano alla colonizzazione del pianeta e oltre, sviluppando la cultura che oggi ci contraddistingue.

 

Convergenze

 

Negli ultimi tempi la ricerca ha ottenuto un risultato grandioso: l’affresco della storia conosciuta dell’uomo si è improvvisamente chiarito fino a milioni di anni indietro nel tempo. Merito della convergenza delle ricerche in campi diversi: genetica, antropologia, linguistica, climatologia. Lo illustra nei dettagli la bella mostra allestita da Luigi Luca Cavalli Sforza e Telmo Pievani: “La grande storia della diversità umana” (Palazzo delle Esposizioni a Roma fino ad aprile, poi Trento e Venezia). Per esempio lo studio del cromosoma Y, che si trasmette solo per via maschile, e del Dna mitocondriale, che si trasmette solo tramite la madre, confermano che tutti gli Homo sapiens derivano da una donna e un uomo del “gruppo fondatore” africano. La mostra si affretta a precisare che la tentazione di chiamarli Adamo ed Eva è «troppo forte, anche se fuorviante, perché non c’è mai stata una sola donna» o un solo uomo. La scienza infatti non cerca conferme a un qualsiasi “disegno” in questa storia. Però è in grado di mostrarci, con forza, «l’unità e la diversità del genere umano scritte nei geni, nei reperti storici antichi, nelle culture e nelle lingue. Nell’evoluzione biologica e in quella culturale». Un’evoluzione, specialmente quella biologica, che la scienza descrive come basata sulla contingenza – è stato così, ma le cose potevano anche andare diversamente –, in un mix di «condizionamenti, volontà, necessità, accadimenti prevedibili e imprevedibili, caso». Le storie, individuali e collettive, sono «costanti aperture di possibilità».

 

Unità

 

Chi crede, tenendo conto dell’avventura ipotizzata dalla scienza, può poi aggiungere un’altra pennellata: un Dio che, per amore, ha creato ogni cosa, e ha nascosto amore dietro apparenze di morte e di dolore. Un Dio che ha scelto proprio la specie Homo sapiens per offrirle un percorso “insieme”, fino a farsi bambino, uomo-dio, per spiegare dove è diretta la freccia dell’evoluzione. Direzione accennata anche nell’ultima frase della mostra di Roma: questa «specie africana giovane, inventiva ed espansiva, a partire dalla sua unità ha saputo generare la diversità. Ora, proprio dalla storia della diversità, può imparare a riscoprire la sua unità».

Giulio Meazzini

 

Fotografie e citazioni sono tratte dal catalogo della mostra, curato da Codice edizioni.

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