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Cultura > Economia e democrazia in America

Lavoro libero, salariato e schiavitù

di Giampietro Parolin

- Fonte: Città Nuova

La grande questione sull’organizzazione della produzione negli Usa con la proposta, poi  minoritaria, del modello cooperativo. La dialettica tra lavoro salariato e schiavitù come paradosso del dominio sul lavoro libero del contadino e artigiano virtuoso

Guerra civile americana. Battaglia di Gettysburg https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=49350

Il tema della libertà economica come presupposto per la libertà politica ha tenuto banco nel dibattito americano ben oltre le posizioni di Hamilton e Jefferson per un altro secolo, andando a plasmare non solo le prime riforme costituzionali ma anche la legiferazione sul lavoro fino all’inizio del novecento.

La domanda centrale a cui movimenti dei lavoratori, legislatori e giudici hanno cercato di rispondere è se il lavoro salariato sia compatibile con la libertà.

All’inizio del 1800 la realtà economica vede la presenza negli Stati Uniti di numerose manifatture, che hanno sostanzialmente due assetti proprietari e organizzativi. Da un lato i piccoli produttori indipendenti – artigiani – con apprendisti a bottega, i quali desiderano apprendere per aprire successivamente a loro volta il proprio business. Dall’altro fabbriche di grandi dimensioni e personale salariato danno inizio allo sviluppo del capitalismo industriale.

In questa fase storica accanto al virtuoso contadino, tanto amato da Jefferson,  si affianca il virtuoso artigiano, con gli annessi di parate e celebrazioni pubbliche.

E gli operai? Il nascente movimento operaio vuole essere parte di questa cittadinanza virtuosa di contadini ed artigiani, ragione per cui deplora profondamente gli assetti della fabbrica che rendendo le persone dipendenti (e in parte schiave) e le trattano da cittadini di serie B.

Una posizione che si rivela di retroguardia, perché la concezione repubblicana del lavoro libero – oggi diremmo autonomo – lascia spazio ad una concezione volontaristica: se l’operaio accetta il lavoro dipendente lo fa in modo libero, senza costrizioni.

In quegli intrecci che la storia sa proporre, il dibattito sul lavoro salariato si affianca al tema della schiavitù, ancora presente in quell’epoca soprattutto negli stati del Sud.  Sono proprio gli imprenditori sudisti a usare il lavoro salariato come contro-argomento nei confronti degli abolizionisti del Nord: verso le foci del Mississippi si sostiene che il lavoro salariato altro non è che una forma peggiorativa della schiavitù. Se il salariato viene occupato a tempo determinato, lo schiavo è sotto la tutela e la cura del suo padrone per tutta la vita!

Un punto su cui è paradossale la convergenza di vedute fra gli imprenditori sudisti e i leader dei lavoratori del Nord. Tra questi  George Fitzhugh, che afferma: “Il capitale comanda il lavoro, come il padrone comanda lo schiavo”.

Anche se secondo gli storici non è l’unica ragione, sull’abolizione della schiavitù si arriva alla Guerra Civile. A Nord come ad Ovest si teme la schiavitù come una forma di concorrenza economica sleale ed una potenziale minaccia per le istituzioni repubblicane tanto che alcuni abolizionisti parlano di “schiavocrazia”.

Manifesto sindacato Usa foto Wikipedia

Fra gli esiti della Guerra Civile americana c’è l’abolizione della schiavitù, che sgombra il campo e permette di continuare il dibattito sul lavoro salariato. La resistenza culturale è ancora forte, nonostante lo stesso New York Times in un articolo del febbraio 1869 dimostri quanto il lavoro salariato abbia superato ampiamente il lavoro autonomo.

In questo contesto è molto interessante l’esperienza delle organizzazioni dei lavoratori durante quella che viene definita la Gilded Age (epoca d’oro) negli ultimi quarant’anni dell’800.

Rilanciando gli ideali jeffersoniani, William H. Sylvis, il principale sindacalista dell’epoca afferma: «Che vantaggio avremmo come nazione se conservassimo le nostre istituzioni e distruggessimo la moralità del popolo; se salvassimo la nostra Costituzione e facessimo sprofondare le masse nell’ignoranza, nella povertà e nel crimine senza speranza; se tutte le forme delle nostre istituzioni repubblicane rimanessero un corpus legislativo e la gran parte del popolo affondasse così in basso da non essere in grado di comprendere i loro principi più semplici ed essenziali» .

Per rispondere ai potenziali rischi civici del lavoro salariato la proposta delle organizzazioni dei lavoratori della Gilded Age è di far assumere alle imprese un assetto cooperativo, dove i lavoratori sono anche i proprietari dei loro mezzi di produzione, superando così la schiavitù salariale e la posizione dominante del capitale.

Il movimento cooperativo americano aveva avuto il suo atto di nascita con una società assicurativa anti incendio, la “Philadelphia Contributionship for the insurance of homes from loss of fire”, da parte di  Benjamin Franklin e i suoi sodali nel 1750.

Negli anni della Gilded Age lo sviluppo delle cooperative nel settore agricolo, nella distribuzione al consumo ma anche in settori industriali è notevole, come testimoniano una  sartoria a Boston (1849), alcuni caseifici a New York (1856) e i cantieri navali di Baltimora (1865).

Tuttavia le cooperative, sia pure un movimento significativo, non riescono a diventare l’asse portante dell’economia americana già sbilanciata verso il capitalismo.

Il dibattito sul lavoro libero (autonomo) rispetto al lavoro salariato viene così consegnato alla storia: inizia un’epoca in cui  la definizione delle condizioni di libertà nella stipula dei contratti e le condizioni di lavoro dignitoso diventano centrali nel dibattito politico, temi ancora oggi oggetto dei dibattiti sul lavoro dipendente.

 

 

 

 

 

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