L’altra agenda

Di cosa si parlerà e di cosa non si parlerà nel corso di questa 67ª Assemblea generale. La pressante necessità di riformare questo organismo
Assemblea generale delle Nazioni Unite
Si è aperta oggi la 67ª Assemblea generale delle Nazioni Unite. Le aspettative, diciamo la verità, non sono molte. I leader di 120 Paesi si riuniranno e i discorsi delle principali figure, secondo gli annunci, difficilmente usciranno dal labirinto delle questioni di politica interna e dei veti incrociati sui temi più scottanti: il conflitto siriano, dove i morti gia non si contano più e non si denuncia apertamente l'intervento esterno di altri Paesi; l'eterno conflitto tra palestinesi e israeliani; le voci sempre più insistenti di una escalation militare tra Tel Aviv e Teheran, causata, ma ormai non è un argomento che convince, dal programma nucleare iraniano.

Questa l'agenda sulla quale si interviene solitamente secondo copione. Ma altri sono i temi che oggi incidono e continueranno a farlo sempre di più sulla vita dei 7 miliardi di abitanti del pianeta: il riscaldamento globale e il cambiamento climatico, i cui effetti avranno un peso sempre maggiore sui bilanci di spesa di tutti i governi, deviando, dunque, importanti risorse; lo sconquasso sociale che sta provocando la crisi finanziaria globale nata negli Usa nel 2008 (ma chi lo ricorda?) e poi estesasi alla vecchia Europa, con la sua sequela di restrizioni draconiane dei bilanci a spesa dei cittadini che pagano di tasca propria decisioni politiche sbagliate, in prima linea la deregulation dei mercati finanziari, che ha dato il via alla stagione dei prodotti derivati ad alto grado di sofisticazione che sta strozzando i debiti publici; le disuguaglianze economiche e sociali che stanno "latinoamericanizzando" il Primo Mondo; la lotta contro la povertà che stenta a incidere sensibilimente sulla vita dei Paesi più poveri.
 

Di questi temi non si parlerà. Due donne, ma sicuramente non solo loro, le presidenti del Brasile, Dilma Rousseff, e dell'Argentina, ricorderanno la necessità di riformare le Nazioni Unite. Son passati quasi settant'anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, ma lo schema di funzionamento dell'Onu riflette i rapporti di forza allora esistenti tra i vincitori del conflitto. Ne fa fede il Consiglio di sicurezza dove Francia, Regno Unito, Russia, Cina e Stati Uniti dispongono di un potere sproporzionato se si considera il peso ed il ruolo svolto da Paesi come Germania e Giappone, per esempio. O se si tiene conto che nel 1945 ancora non si parlava di Paesi emergenti, che oggi sono una realtà innegabile. India, Indonesia, Pakistan, Brasile, Messico, Egitto, Nigeria, Sudafrica sono voci che oggi non possono non essere rappresentanti di regioni del pianeta che hanno qualcosa da dire nel più elevato consesso di nazioni.

E la società civile internazionale? Quale spazio ha oggi questo nuovo attore che pure ha una sua voce sul panorama di sfide in atto in questo secolo?
 

Il paradosso al quale possiamo assistere è che la democrazia, che alcuni intendono necessario esportare quand'anche sia necessario ricorrere alle armi (vedi il caso di Afghanistan e Iraq), per la quale altri hanno lottato con coraggio (vedi il caso della "Primavera araba"), e nella quale altri sperano come strumento necessario per costruire una nuova governance (vedi il caso degli indignados) si traformi nel grande assente del più autorevole consesso di popoli del pianeta. Segno dunque bisogna produrre cambiamenti. E presto.

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