La vittoria scontata di Al Sisi

Si indaga sulle motivazioni del verdetto plebiscitario per il generale. Scarsa l'affluenza alle urne, ma non va dimenticato che il Paese vota solo da tre anni. Forte astensione dei giovani contrastata dalle donne che in massa sono andate a votare
Egiziani in fila per votare

La vittoria dell’ex capo delle Forze armate era un risultato scontato da tempo nell’Egitto del dopo Piazza Tahrir, ma soprattutto del dopo Morsi. I risultati definitivi non sono ancora stati ufficializzati, ma è con tutta probabilità le preferenze per Abdel Fattah Al-Sisi si aggirano attorno al 90 per cento. La consultazione elettorale ha lasciato il candidato di sinistra Hamdeen Sabahi con una manciata di voti ed il Paese nord-Africano con un futuro, ora tutto da costruire, o meglio, da ricostruire. In questi giorni, i media occidentali hanno sottolineato soprattutto il grande assenteismo che ha caratterizzato queste elezioni. Infatti, nonostante il prolungamento dell’apertura dei seggi per un altro giorno, rispetto alle date previste, probabilmente la percentuale dei votanti non ha a superato il 50 per cento dei diritti al voto. Non si può dimenticare che l'Egitto ha cominciato un percorso consultivo solo tre anni fa, prima di allora nessuno aveva mai votato e inoltre vincolare l'espressione del voto alla città di residenza, in un Paese dove gli spostamenti non sono semplici e i costi non accessibili, hanno fatto il resto, limitando l'accesso al voto di circa otto milioni di cittadini.

Senza dubbio, al-Sisi mirava ad un trionfo con una partecipazione alle urne ben più alta, ricordando che durante la seconda rivoluzione circa 30 milioni di egiziani erano scesi in piazza ad appoggiarlo. A sostenerlo sono stati i milatari, anche se di fatto non votano, ma soprattutto gli imprenditori, che sognavano la ripresa economica di un Paese che si trova in una crisi tragica. A boicottare i seggi, invece, oltre ai membri e simpatizzanti per la Fratellanza Musulmana, che aveva portato al potere Morsi, poi deposto lo scorso anno proprio da al-Sisi, e oggetto negli ultimi mesi di una politica dal pugno di ferro, sono stati i giovani, pur convinti che la sicurezza sia tra le priorità del Paese.

In generale, al-Sisi è visto da tempo come l’unica soluzione che l'Egitto ha in questo momento per risollevarsi dalla crisi politica e socio-economica in cui si trova. Tuttavia, che l’esercito abbia nuovamente proposto un suo uomo come candidato non è stato accettato da tutti. Forse un’altra figura gradita ai militari, ma non proveniente dai loro ranghi, avrebbe sortito una maggiore simpatia. I giovani, inoltre, hanno rifiutato di accedere alle urne per non rendersi artefici di un successo scontato, ma non del tutto gradito, pur rimanendo convinti che l’uomo forte dell’ultimo anno offre garanzie per il futuro. In effetti, le nuove generazioni stanno cambiando e desiderano una partecipazione politica con maggiore coinvolgimento democratico e nonostante siano parte di una cultura dove l’autorità è rispettata desiderano uno spazio per un loro ruolo nell’intero processo.

Un ulteriore causa dell’assenteismo ai seggi è stata determinata, probabilmente, dalla politica di forza con cui al-Sisi, il suo governo ad interim, la corte di giustizia hanno colpito i Fratelli Musulmani negli ultimi dieci mesi. Oltre a condannarne l’ideologia e la prassi politica e di fatto mettendo fuori legge l’appartenenza alla Fratellanza, si sono susseguiti processi di massa e condanne a morte, poi confermate in numeri minimi. Tale politica è stata, con tutta probabilità, esagerata anche di fronte all’opinione pubblica che non amava i Fratelli Musulmani o che li osteggiava. Anche fra questi molti hanno deciso di non votare, pur sapendo che al-Sisi avrebbe stravinto. E’ un segnale al nuovo capo di Stato, che è importante per il suo futuro come leader di un Paese di ritrovare una sua direzione di marcia.

Al-Sisi dovrà, quindi, trovare una sua via per dimostrare di sapere condurre l’Egitto secondo criteri democratici. A questo proposito è interessante l’intervista che un giovane leader del Maspero Youth Union (Associazione per i diritti umani islamo-cristiana, fra le principali promotrici dell'iniziativa Tamarod che portò alla caduta di Mubarak), ha rilasciato all’agenzia cattolica AsiaNews: «Tutti noi sappiamo bene che la democrazia non ha a che fare solo con la scatola dove si depone il voto, è qualcosa di più». Riferendosi, poi, direttamente al ex-capo delle Forze Armate, il giovane ha dichiarato che «negli ultimi mesi al-Sisi è stato dipinto dai media e dalla società civile come “il salvatore dell'Egitto”. Questo modo di fare non è corretto, non si può pensare a un dibattito vero se un candidato è un eroe e l'altro è un semplice essere umano con un programma spiegato neanche troppo bene. È tipico di questo Paese inginocchiarsi davanti all'uomo forte».

Tale atteggiamento non giova allo stesso ex capo delle Forze armate: «Il presidente al-Sisi –continua il giovane intervistato –è molto amato dalla popolazione, basta girare per le strade per rendersene conto. Sono sicuro che, se il contesto fosse stato meno sbilanciato e un poco più democratico, l'affluenza sarebbe stata molto più alta e lui avrebbe ottenuto lo stesso tantissimi voti, la maggioranza. Ma serve un cambio di mentalità».

Un cambio che già si intravvede nell'alta partecipazione al voto da parte delle donne, che in massa si sono recate ai seggi, anche loro come i giovani chiedono sicurezza e pace per pensare un nuovo futuro per l'Egitto, magari senza l'impazienza degli under 30.

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