La vista lunga del profeta

Il cardinale Tettamanzi si accinge a lasciare la diocesi ambrosiana. Criticato per alcune posizioni, la sua difesa è stata citare il Vangelo
Dinonigi Tettamanzi

È prossimo a lasciare l’arcidiocesi di Milano mons. Dionigi Tettamanzi, che vi era giunto da Genova il 29 settembre 2002. Figura autorevole della Chiesa italiana, semplice e buona del pastore che cerca il rapporto con ogni persona – credente o non – ,che di primo impatto sa subito farsi amare perché lo fa lui per primo mettendoti a tuo agio, ascoltandoti sereno e salutandoti o con una battuta allegra, o con un severo ammonimento. Sì, perché l’ha detto più volte lui stesso: «Posso confessare con umile franchezza che ho sempre cercato di pensare, giudicare e agire avendo come criteri il santo Vangelo e le esigenze più profonde e vere del cuore di ogni uomo e donna». E da un uomo che ha come unico riferimento il Vangelo, sai che puoi aspettarti solo cose “alte”.

 

Analizzare la sua figura umana, spirituale, teologica, culturale e politica comporta un impegno notevole. Per alcuni è stato il cattocomunista della Chiesa ambrosiana, per altri il cardinale che studiava da imam, il vescovo di Kabul. Ma l’uomo che ha sostituito Carlo Maria Martini inizia il suo ministero proprio col “farsi prossimo”. Bussa al cuore dell’uomo, parla a una città che ha perso un po’ della sua anima. Se Martini diceva che la sfida più grande del nuovo millennio era il dialogo fra le culture, Tettamanzi fa sapere che considera gli immigrati una risorsa, che la diversità è sempre un problema, ma anche che «noi dobbiamo avere la vista lunga dei profeti, per preparare il domani. L’integrazione è più avanti di quel che si pensi: basta imparare dal mondo dei ragazzi, recuperare un po’ della loro saggezza».

 

C’è una paura che nasce dall’egoismo, dall’assenza di visione. «Non c’è futuro senza solidarietà», gli ha scritto una giovane studentessa. Quella lettera è diventata il titolo del suo ultimo libro. Con la crisi bisogna ritessere trame sociali sfilacciate, riscoprire la sobrietà, lavorare per una convivenza più umana. «Dobbiamo assumerci tutti le nostre responsabilità — spiega severo — chi non lo fa non è solo inutile, è anche dannoso». La notte di Natale del 2008 da vita al Fondo famiglia-lavoro, mettendo i propri risparmi per primo: ad oggi sono oltre 13 milioni gli euro erogati a 5206 famiglie, di cui 2313 italiane e 2893 straniere. Nei discorsi e nei tanti messaggi alla città è facile trovare lo spirito civile di Milano, la forza e la passione di chi non si rassegna al pessimismo, a quell’indifferenza che fa male alle ragioni di una buona convivenza. Parole dettate con il cuore, indirizzate ad ogni cittadino desideroso di fare qualcosa per la sua città. Tettamanzi ha scosso il quieto vivere di tante coscienze invitando ognuno a fare la propria parte per il bene comune. Spesso è stato attaccato perché parlava del Vangelo tutelando le vite dei più svantaggiati, ricordando che i diritti dei più deboli non sono deboli diritti. La società, non si è stancato di ripetere, deve cambiare il suo modello di sviluppo, perché c’è un’umanità da riscoprire.

 

La “qualità pastorale” della sua proposta ha invitato a vivere e a sognare una Chiesa sul modello del Concilio: appassionata alla causa del Cristo, autenticamente missionaria, quasi “testarda” nell’interpretare la vocazione al confronto franco, alle ragioni del dialogo con tutti, nella comunità cristiana e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, con tutti i credenti delle diverse confessioni cristiane e tradizioni religiose. La misura del suo governo, pacata e benevolente, preoccupata non già di comandare autoritariamente, quanto di convincere e persuadere l’interlocutore, accompagnandolo con la saggezza di un padre e di un pastore, in continuità con la tradizione che nel secolo scorso ha ascoltato le lezioni dei suoi predecessori: gli arcivescovi Ferrari, Tosi, Schuster, Montini, Colombo e Martini.

 

In una recente celebrazione eucaristica con gli appartenenti ai Focolari si domandò: «Che cosa dice a me il carisma dell’unità, in questa stagione conclusiva del mio ministero episcopale?» e continuò: «Mi è di luce quanto Chiara Lubich dice della Madonna: “Ho una sola Madre sulla terra: Maria desolata… In lei è tutta la Chiesa per l’eternità. Nel suo disegno è il mio. Andrò per il mondo rivivendola. Ogni separazione sarà mia”. E qui Chiara aggiunge una frase per me particolarmente significativa: “Ogni distacco dal ben che ho fatto è un contributo a edificar Maria”. Sento cioè di affidare totalmente a Dio e alla sua grande misericordia tutto quanto ho cercato di fare in questi anni, consapevole che il seme evangelico – per grazia di Dio datomi da gettare – potrà portare frutto se il Signore lo vorrà e come e quando lo vorrà». E poi l’augurio «che il vostro Movimento continui a diffondere a piene mani lo spirito di comunione nella vita e nelle strutture della Diocesi, immergendosi e perdendosi in essa come il lievito nella massa, perché la Chiesa di Milano, arricchita di questo e di tutti carismi che lo Spirito suscita, possa fiorire in pienezza e parlare con la propria vita al mondo contemporaneo dell’infinita bellezza di Dio».

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