La visione dell’uomo in Chiara Lubich

L’umanesimo fraterno di Chiara Lubich sorge come risposta carismatica e culturale alla sfida che la crisi dell’Occidente manifesta lungo il Novecento europeo. Una sfida che riecheggia nelle riflessioni di numerosi filosofi, quali Heidegger e Scheler. A partire dall’ispirazione biblica, dalle creazione dell’uomo come immagine e somiglianza di Dio – un Dio che è amore – già diversi pensatori, come Maritain e Mounier, avevano individuato il senso e la realizzazione della persona nel suo farsi dono per gli altri, nella sua capacità di amare. Chiara Lubich spinge questo pensiero più in là: riconosce l’impronta trinitaria come costitutiva di tutto il creato, scorge la relazione profonda che lega l’uomo all’altro uomo e a tutto il creato. Ella riconosce nell’Amore – che genera e sostiene tutte le cose – la realtà ultima dell’uomo, reso così capace di amare, di donarsi, fino alla misura estrema, capace di attraversare la sfida del “farsi nulla” per amore, mostrata da Gesù. Sono queste le basi sulle quali germoglia un “nuovo
umanesimo” e la possibilità della fraternità che esso dischiude.

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