La storia vi chiede un prezzo alto

L’arcivescovo di Agrigento in visita a Lampedusa: «Continuate a pagare quanto non si riesce a decidere nei palazzi di chi amministra». La Caritas aprirà un presidio permanente
Immigrati in cerca di soggiorno

Senza telecamere che ne riprendessero l’arrivo e gli incontri programmati, l’arcivescovo di Agrigento monsignor Francesco Montenegro è atterrato a Lampedusa, ultimo presidio della sua diocesi, insieme all’altra isola delle Pelagie, Linosa. Isole che sono la fine territoriale dell’Europa e al contempo la porta dell’Africa, di un’Africa che, in questi giorni di rivolte, bussa con prepotenza e necessità alle porte dei nostri Paesi. Ha voluto incontrare il consiglio pastorale mons. Montenegro per mostrare la sua vicinanza e pensare insieme a progetti efficaci per l’annunciata ondata migratoria che seguirà alla crisi libica. Ai suoi fedeli, stipatissimi nella chiesa ha parlato a cuore aperto. «Sarei voluto venire subito, ha detto il presule, ma c’era troppa presenza mediatica che avrebbe distorto il motivo reale della mia visita: essere con voi». Lo ha ribadito più volte durante l’omelia della messa: «Sono qua per dirvi di non sentirvi soli, per incoraggiarvi e dirvi grazie per la testimonianza che date».

 

Mons. Montenegro è consapevole delle difficoltà che l’isola si trova ad affrontare, gli appena cinquemila abitanti in pochi giorni si son visti arrivare più di tremila stranieri, mentre il mare di questi giorni continua ad incoraggiare nuovi sbarchi. Negli ultimi due giorni sono undici i barconi arrivati e non si riesce ad avere una conta precisa degli esuli. Sa che i suoi fedeli si sono sentiti soli nell’affrontare questo esodo massiccio, abbandonati, «investiti di promesse a cui è difficile credere». «Ancora una volta ci siamo scontrati con la confusione, l’incompetenza e la fedeltà a pregiudizi che diventano penalità ed offesa per chi deve subirli». Il riferimento alle accuse di razzismo che hanno investito le istituzioni e la popolazione è velato, ma chiaro.

 

«Continuate a pagare − e non è giusto − quanto non si riesce (non oso dire non si vuole, spero che non sia così) a decidere nei palazzi di chi amministra la cosa pubblica» è la dichiarazione forte del vescovo che trova aperta approvazione nei lampedusani. Non usa mezzi termini nel denunciare che l’emergenza in realtà cela un problema grave, il problema dell’Africa, «un problema di tutti» e non solo di Lampedusa e Linosa. «Se anziché essere isole in mezzo al mare, fossero un luogo vicino a città importanti, come si sarebbero comportati coloro che decidono?», incalza Montenegro che domanda soluzioni non limitate «a ronde» e ad «accordi economici vantaggiosi solo per una parte» e non si possono tener chiusi gli occhi o fingere che, «solo la forza (il divieto), possa sortire l’effetto desiderato». 

 

Sollecita il governo e i governi, Montenegro «a trovare soluzioni che siano rispettose di tutti, di loro, di noi», proprio nella criticità sociale del momento, dove «la cultura del diverso è carente. I pregiudizi, l’accentuazione e il rifiuto della diversità, gli interessi di parte, la finanza sfrenata, la logica dei faraoni del vecchio Egitto, la politica a corto respiro, sia mondiale che nazionale (alla nostra bisogna aggiungere litigiosa), sta portando il mondo a rivoltarsi e questo non si può negare». Il vescovo ha prospettive che esulano dalla contingenza e spinge a guardare oltre, a quelle situazioni che generano queste migrazioni e questi rivolgimenti.

 

Ma Lampedusa continua a restare “luogo di speranza” per questi immigrati: lo testimoniano le manifestazioni pubbliche di ringraziamento tributate agli abitanti dagli stessi profughi che vogliono in qualche modo ripagare le tante dimostrazioni concrete di accoglienza: il the mattutino preparato da alcune signore, la pasta da offrire a chi passava per le strade, le ricariche telefoniche offerte gratuitamente, l’indirizzo per consentire ai parenti di inviare notizie e danaro. Certo ci sono state violazioni di domicili chiusi, l’accaparramento di dispense ben fornite in case disabitate, ma non ci sono stati episodi di violenza. Spesso i media hanno amplificato la paura, commenta qualcuno degli isolani, ma ora le porte chiuse del centro lasciano in tutti maggiore tranquillità, ma non fanno calare la tensione a rendersi utili, a testimoniare il vangelo.

 

«Siate, siamo, anche se da molti definiti illusi, costruttori di un mondo nuovo e diverso», è il commento conclusivo del vescovo che invita a guardare a «Maria la guida della rivoluzione, quella vera, quella del Magnificat, quella di Dio, senza armi e senza violenza». Il vescovo ha poi visitato il centro d’accoglienza, accompagnato dal direttore della Caritas agrigentina Valerio Landri che ha valutato, insieme agli operatori presenti sull’isola, la possibilità di aprire un presidio permanente, che potrebbe offrire servizi efficaci e tempestivi ai nuovi immigrati.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons