La società mucillagine

L'espressione usata nel rapporto Censis dello scorso anno per descrivere l'individualismo in cui viviamo ci sprona a fare qualcosa.
mucillagini

Leggere le notizie sulla carta stampata, guardarle e sentirle in tv o collegandosi via web con qualche giornale o rivista fa lo stesso: o c’è la grancassa delle solite questioni (processi brevi, litigate nel centro destra, il modello elettorale che divide la sinistra, i pullman che vanno, anzi non vanno in provincia di Ferrara, ecc.) o c’è gossip sulle ultime mode, sui matrimoni dell’anno, del secolo, o del minuto. Ecco perché quando il piccolo e lento neurone che mi rimane si riesce a soffermare su notizie veloci e rapide, magari lette su televideo, rimango allibito: c’è sempre il fantasma dell’egoismo o dell’individualismo che aleggia, c’è sempre uno squarcio di un mondo che non mi piace, ma che avanza: ognuno per sé e Dio per nessuno!

 

Che in Iran si voglia lapidare una donna “forse” adultera, che una ragazzina butti sei cuccioli di cane nel fiume, o che un poveretto di 83 anni sia “dimenticato” per 20 anni e ritorvato mummificato nella sua casa a Cadine, alle porte di Trento, la forza dell’abitudine sembra consumarci, e dopo qualche secondo di sdegno più o meno condiviso si gira la pagina del giornale, si cambia canale o si clicca suun altro sito.

 

Eppure l’unico neurone si incomincia ad arrabbiare e mi invita a non starci più. La società odierna, lo sappiamo, vive in uno sfacciato individualismo anche se poi siamo alla spasmodica ricerca degli altri, magari in modi non sempre “indovinati” (chat, social network, raduni musicali, discoteche, ecc.). Per descrivere tale fenomeno il rapporto Censis sulla società italiana dello scorso anno ha usato una brutta, ma efficace immagine: società mucillagine. Spiegandola, il presidente del Censis Giuseppe De Rita ha detto: «Credo che chi ha visto una distesa di mucillagine sa che essa non è altro che un insieme di realtà vegetali slegate le une dalle altre, destinate a marcire, perché quello che fa vivere non è lo stare uno accanto all’altro, ma lo stare l’uno con l’altro, insieme all’altro, è la connessione, la relazione, non la semplice giustapposizione. La nostra è una società nella quale si vive “accanto”, magari anche con simpatia e con allegria, ma senza vere relazioni».

 

Scomodando Kafka, lui dice che «la soggettività è come una prigione con mille sbarre». Ecco che il mio piccolo neurone mi suggerisce un bel lenzuolo annodato, alla vecchia maniera, e giù “evasione” da queste sbarre. Magari non da solo, che è meglio. Magari rinvigorendo l’azione – e non il “ricordo” – di quando mi vibravano le corde del cuore nel tentare di amare davvero tutti, preferendo, se mai avessi potuto prediligere qualcuno, quelli più scomodi. Eh si! avevamo tempo “solo” di cimentarci a cercare di amare tutti. Nessuno doveva passarci accanto “invano”! Che ne dici, ci riproviamo? Magari puliamo un pezzo di spiaggia, pardon, di società, dalla mucillagine.

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