La sentenza della Cassazione sulle coppie gay

No all’equiparazione al matrimonio, sì al riconoscimento e alla protezione sociale di tali relazioni affettive. Dalle polemiche ideologiche all’attenzione per la vita reale delle persone. L’ipotesi di uno statuto per le unioni civili (etero e omo)
coppia omo

La vicenda riguarda Angelo e Pier Giorgio che da alcuni decenni vivono insieme e chiedono venga loro riconosciuto il diritto ad ottenere le pubblicazioni del loro matrimonio civile in Campidoglio.

I primi due gradi di giudizio danno loro torto sicchè, da ultimo, si rivolgono alla Corte di Cassazione lamentando che il diniego delle pubblicazioni costituirebbe atto discriminatorio nei loro confronti.

La Corte di Cassazione si pronuncia in maniera negativa rispetto alla loro richiesta con una sentenza estremamente articolata che richiama alcuni principi fondamentali, peraltro già enunciati dalla dottrina e dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.

La nostra Carta Costituzionale, infatti, riconosce e tutela i diritti della famiglia “come società naturale fondata sul matrimonio” tra un uomo e una donna (art. 29). Tanto si ricava, indiscutibilmente, dagli articoli correlati e dai lavori preparatori alla stesura della Carta Costituzionale.

D’altro canto, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 12) fa riferimento all’unione matrimoniale eterosessuale ma non esclude, né impone, che gli Stati membri estendano il regime matrimoniale a persone dello stesso sesso. In tal modo trova applicazione la “riserva” di competenza, in materia di diritto di famiglia, attribuita ai singoli Stati della UE.

In definitiva, ribadisce la Suprema Corte, non si è in presenza di alcuna discriminazione finché il legislatore non emani una legge per le coppie omosessuali.

Ma allora nessun diritto compete a Angelo e Pier Giorgio o a coloro che operano una scelta di vita simile?

Niente affatto. La strada è quella di riconoscere, dice sempre la Corte di Cassazione, tali relazioni affettive, nell’alveo delle “formazioni sociali ove si (l’uomo) svolge la propria personalità”. Si tratta quindi di assicurare alle coppie omosessuali, così come a quelle eterosessuali che non vogliono o non possono contrarre matrimonio, un grado di protezione sociale adeguato.

È auspicabile che questa ennesima pronuncia serva a spostare il dibattito politico da questioni di natura meramente ideologica, senza alcuna ricaduta sulla vita quotidiana dei cittadini, alle questioni reali.

Continuiamo a chiamare matrimonio quello tra uomo e donna, così come costituzionalmente sancito, ma nel contempo occupiamoci di porre mano ad uno statuto delle unioni civili, eterosessuali o omossessuali, che preveda diritti e doveri adeguati ai contesti nei quali queste unioni si realizzano.

Un rapido post scriptum: e se nel frattempo ci ricordassimo di promuovere anche vere politiche familiari, anch’esse costituzionalmente garantite e mai attuate?

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