La scelta di obiettare ancora e i corpi civili di pace

Cresce l’esercito di miliari professionisti mentre diminuiscono i fondi per il servizio civile volontario. Intervista a Giorgio Giannini, presidente del Centro studi Difesa civile
Esercito italiano

Sono ormai 40 anni che In Italia è stata approvata la legge sull'obiezione di coscienza al servizio militare. Nel 1972 uscirono dalle carceri italiane oltre 200 obiettori (in precedenza, infatti, chi si rifiutava di fare il militare, andava in prigione, ndr) e il numero dei giovani che si orientarono verso il servizio civile crebbe col tempo al punto da sorpassare quelli avviati alla leva. Guardando, tuttavia, l'esito della sospensione della leva obbligatoria dal 2005, con la creazione di un esercito di professionisti e la riduzione drastica dei fondi destinati al Servizio civile volontario, si è arrivati ad un esito che pare contraddittorio. L’attuale riforma della Difesa, infatti, con la riduzione del personale in esubero (ufficiali e sottoufficiali), comporta l'aumento delle spese in armamenti. Domande attuali che sono confermate dall’esito del referendum che a gennaio in Austria ha visto prevalere la volontà di mantenere l’obbligatorietà del servizio militare. Ne parliamo con Giorgio Giannini, presidente del Centro studi Difesa civile, che oltre all’attività di ricerca sostiene e contribuisce alle attività dirette di gestione nonviolenta dei conflitti realizzate da associazioni partner e da reti nazionali ed internazionali (www.pacedifesa.org).

Partiamo da una domanda di carattere personale che non possiamo tralasciare. Come è nata la sua scelta di fare l’obiettore di coscienza al servizio militare? 
«Ho maturato questa scelta per motivi essenzialmente filosofici e morali, quindi senza riferimenti politico-ideologici, come avveniva per gli anarchici, e neanche per ragioni di credo religioso perché sono e resto di formazione laica. Mi sono interessato per anni dei diritti civili ed all’inizio degli anni Settanta ho seguito le lotte per l’obiezione di coscienza. In quegli anni facevo attività politica e studiavo giurisprudenza. La mia obiezione di coscienza è stata riconosciuta dopo un lungo iter e ho cominciato il Servizio civile nel 1977. Ho lavorato per diversi anni alla Segreteria nazionale della Loc, la Lega per l’obiezione di coscienza, promossa soprattutto dal Partito Radicale, curando per qualche anno anche la redazione della rivista “Lotta antimilitarista”, organo della Loc».

Come è stato il rapporto con chi svolgeva il Servizio militare? Erano anni di forte conflittualità e di diritti negati…
«Personalmente, e come Centro studi nato nel 1984, abbiamo sempre cercato il dialogo con tutti, soprattutto con le istituzioni».

Quindi l’articolo 11 della Costituzione dovrebbe essere un punto di contatto con coloro che, come militari, sono i primi destinatari di quel principio di ripudio della guerra?
«La difesa della Patria non è riservata ai militari perché la stessa Costituzione lo definisce come un “sacro” dovere di ogni cittadino. Lo si può compiere in armi o in altri modi. Per esempio la Resistenza al nazifascismo è stata attuata dai partigiani in armi e da tanti altri soggetti, che hanno usato strumenti diversi: è la cosiddetta “Resistenza non armata”. Su questi temi esiste una produzione di testi storici che sono il prodotto anche della mia ricerca scientifica. Ci sono tanti  esempi di questa Resistenza non armata in altri Paesi occupati dai nazisti, quali la Norvegia, con la Resistenza degli insegnanti, o l’Olanda, con la Resistenza dei medici. Anche nei nove mesi dell’occupazione nazista di Roma (10 settembre 1943-4 giugno 1944) abbiamo tanti episodi documentati di Resistenza non armata, quali la protezione di ebrei, degli oppositori politici e di  tanti militari sbandatisi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. «Mezza Roma nasconde l’altra metà» era un detto del tempo, che evidenziava la solidarietà vissuta in tantissime famiglie, che dividevano il poco cibo, razionato dalle tessere annonarie, con rifugiati e clandestini».

Nel libro di Adriano Ossicini “Un’isola sul Tevere” si parla dei partigiani cristiani che avevano un limite nell’uso della forza o abbiamo il caso di Dossetti che fu capo partigiano senza utilizzare le armi..
«Roma è stato un grande centro di Resistenza non armata, attuata soprattutto dagli Istituti religiosi. Nel centro storico, a Prati, la Chiesa di San Gioacchino è stata un luogo significativo di Resistenza, con l’attività dell’ingegner Pietro Lestini che aveva creato un rifugio tra il tetto e la cupola. Esiste una vasta documentazione che abbiamo raccolto e continuiamo a diffondere». 

Ma la storia della Resistenza, e proprio a Roma che ha visto il caso di via Rasella, pone la questione della necessità di abbattere il tiranno. Alla fine, se si accetta il caso della forza maggiore davanti ad una violenza estrema, non diventa difficile non trovare le eccezioni che legittimano l’uso delle armi?
«Evidentemente ci sono certe situazioni dove si può giustificare il passaggio dalla lotta non armata a quella armata, ma sono casi che non si possono generalizzare. Si tratta di situazioni complesse e molto laceranti». 

Dopo 40 anni dal riconoscimento dell’obiezione di coscienza ci troviamo ora di fronte al Servizio Civile che non viene finanziato mentre cresce l’attrattiva per il servizio militare di professionisti. Non sembra un grande risultato…
«Si tratta di una “scelta politica”, di abbandono del modello di esercito popolare, che non prevede proprio quel “sacro dovere” di partecipazione alla difesa della Patria che è richiesto a tutti. L’esercito di professionisti è molto costoso ed è funzionale alle operazioni militari da compiere all’estero sullo scacchiere internazionale. Queste operazioni militari sono legittime se compiute sotto l’egida dell’Onu, mentre in tutti gli altri casi siamo, a mio parere, fuori dalla Costituzione, in particolare dall’art.11».

Quindi vedrebbe più coerente un Servizio civile, magari ridotto a sei mesi, ma obbligatorio per tutti?
«Questa ipotesi la vedrei in maniera molto positiva perché si rivolgerebbe a tutti, uomini e donne, come servizio alla collettività. I costi si potrebbero sostenere, ad esempio, con l’adozione di un Esercito Europeo, che porterebbe ad una razionalizzazione ed a una riduzione significativa dei costi militari nei singoli Paesi, anche se l’obiettivo dei pacifisti- nonviolenti rimane l’abolizione delle Forze armate. Come Centro studi abbiamo sostenuto già trenta anni fa, con l’opera di Francesco Tullio, primo presidente dell’associazione, scomparso lo scorso anno, l’azione dei Caschi Bianchi, una forza di pace non armata, sotto la direzione dell’Onu. Ora si parla di Corpi civili di pace, secondo l’intuizione degli ultimi anni di Alex Langer. Come sempre si tratta di compiere delle scelte politiche ben precise, che spettano al Governo».

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