La ribalta nazionale dei Cinque Stelle a Roma

La sfida annunciata sulla Capitale vede la supremazia della candidata pentastellata, Virginia Raggi, che se la dovrà vedere con un combattivo ed esperto Roberto Giachetti del Partito democratico. In palio non c’è solo il governo, difficilissimo, della metropoli ma le prossime elezioni politiche
Raggi - Giachetti

 

Quando alla vigilia del voto del 5 giugno, la candidata a sindaco di Roma del Movimento 5 Stelle, Virginia Raggi, è andata a Trento a parlare di periferie, invitata da Tito Boeri, presidente dell’Inps e direttore scientifico del festival nazionale di economia, si è avuta in anticipo la conferma della credibilità della sfida aperta nella Capitale dal gruppo pentastellato. I dati sono vicini a quelli definitivi e quindi tali da permettere una prima sommaria analisi. Il risultato raggiunto al primo turno con oltre il 35 per cento dei consensi è stata la conferma di una tendenza annunciata, anche se la corsa per arrivare al Campidoglio non è affatto semplice.

 

Il PD, con Roberto Giachetti, raggiunge quasi il 25 per cento e l’obiettivo decisivo di arrivare al ballottaggio del 19 giugno senza subire l’umiliazione sperimentata dal partito a Napoli, dove allo scontro diretto con l’originale coalizione di sinistra guidata da Antonio De Magistris andrà il candidato di centrodestra Gianni Lettieri.

 

Sempre a Roma, Giorgia Meloni, candidata da Fratelli d’Italia e Noi con Salvini, dimostra una forte presenza popolare della destra capitolina con quasi il 21 per cento dei consensi. Poteva andare decisamente meglio senza la rottura dell’alleanza con Berlusconi che, alla fine, ha scelto l’imprenditore Alfio Marchini il quale, dai commenti rilasciati a caldo, ha dimostrato di aver creduto davvero di poter raggiungere un piazzamento maggiore di quello effettivo, un onorevole 11 per cento che tiene conto delle liste civiche associate a quelle di Forza Italia e della destra di Francesco Storace che raccoglie, tuttavia, molto meno della lista di Casa Pound che ha presentato un diverso e autonomo candidato sindaco.

 

Il fondatore di Forza Italia, e ancora carismatico leader del centro destra, non poteva accettare un ruolo da comprimario nella città capitale per dimostrare la tesi, vincente a Milano, del valore aggiunto e moltiplicatore di consensi di una sinergia tra il centro moderato ele diverse componenti della destra.

 

Entra in consiglio comunale la Sinistra Italiana di Stefano Fassina, con il 4,46 per cento, dopo una campagna elettorale partita in salita. L’obiettivo arduo è quello di farne una base per riorganizzare una forza politica di sinistra alternativa al Pd, ma vivrà inevitabili tensioni in vista del ballottaggio tra astensione e voto utile.

 

Complessivamente si può dire che a Roma si è arrestata l’emorragia di partecipazione al voto, risalito al 57,19 per cento (era il 52.81 per cento nel 2013), dato sempre inquietante ma in controtendenza con quello complessivo nazionale dove l’affluenza è più alta ma in decrescita: dal 67 al 62 per cento. La sede capitolina, con i suoi problemi che non si possono nascondere in alcun modo, si presta a diventare il palcoscenico della politica nazionale.

 

Il risultato raggiunto dal Pd è strategico perché, se riesce a ribaltare il voto del 5 giugno, consegna la città all’immagine vincente che Renzi vuole accreditare, mentre, se perde con onore, la persona di Giachetti, di scuola radicale, è adatta ad interpretare un ruolo movimentista di opposizione verso una compagine inedita, quella dei pentastellati, che dovrà contrattare piani di ristrutturazione del debito con un governo nazionale non amico e cimentarsi con ataviche problematiche della metropoli che non possono non esporre ad errori.

 

Resta il fatto che il Movimento 5 Stelle riesce a mobilitare una fetta di popolazione sociologicamente finora lontana dall’impegno politico diretto, come dimostra la storia personale della stessa Raggi. Una forza politica, quella pentastellta, capace di suscitare attese messianiche assieme a paure istintive e che si trova nel pieno di una riorganizzazione interna, dopo la scomparsa di Casaleggio e il nuovo ruolo annunciato da Grillo, ma che proprio dalla Capitale potrebbe fare il passo decisivo verso il governo nazionale, trainando un consenso già sperimentato nelle ultime elezioni politiche, grazie paradossalmente al nuovo sistema elettorale fortemente voluto dalla maggioranza che sostiene il governo Renzi.

 

Si decide molto sotto l’apparente sonnacchioso sole di Roma. Come sempre.

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