La parola forte dell’Africa

Quale contributo può dare all'economia mondiale un continente costantemente etichettato come sottosviluppato e povero? Dal nostro inviato
Genevieve Sanze

Nella ricca riflessione che si è già sviluppata nel corso dell’Assemblea internazionale dell’Economia di Comunione è arrivato anche il turno dell’Africa, chiamata a offrire un contributo peculiare sui temi della povertà e dello sviluppo. Ed è significativo che a parlarne sia una donna, Genevieve Sanze, esperta di economia della Repubblica Centrafricana.

 

«La distinzione ereditata dall’opposizione tra i termini “civilizzato” e “non civilizzato” si è basata sul presupposto dell’Occidente come modello di riferimento», inizia, indicando già uno dei peccati originali dell’approccio culturale alla fenomeno della povertà. Da allora, la teoria del sottosviluppo conobbe un grande successo e gli stessi Paesi sottosviluppati aderirono a una tale visione, richiedendo di conseguenza i mezzi per potersi sviluppare.

 

Come è andata, lo sappiamo. Ma è istruttiva la lettura che ne fa la prof.ssa Sanze. «Oggi, nel 2011 la realtà è certamente meno felice del previsto ed è indispensabile ripensare l’idea di sviluppo, utilizzando categorie più sofisticate e antropologicamente più complesse rispetto a uno sviluppo e a un sottosviluppo misurati principalmente sull’asse delle risorse economiche». Gli effetti sono evidenti: saccheggio delle ricchezze, aumento della povertà, crescita della disoccupazione, sfruttamento dell’ambiente, mentre continua il dominio dei forti sui deboli.

 

La docente invita perciò a liberarsi dagli ancoraggi culturali sino ad ora considerati indispensabili in economia e cercare una nuova comprensione dei concetti di “povertà” e di “sviluppo”. L’Economia di Comunione, secondo lei, può offrire sia una innovativa chiave interpretativa, sia prospettive risolutive adeguate alle popolazioni del continente africano.

 

«Non si può uscire dalla piaga dell’indigenza solo con il denaro, né solo con la redistribuzione della ricchezza o la costruzione di beni pubblici (dalle scuole alle strade) e nemmeno intensificando le relazioni commerciali tra Nord e Sud del mondo. Certamente, tutto questo è necessario ma non sufficiente», sostiene, senza fare sconti a nessuno.

 

Quello di cui c’è urgente bisogno, sostiene, sono «relazioni autentiche e profonde tra persone diverse ma uguali, ciascuno differente e tutti uguali», mentre è il momento di «superare le categorie stesse di “popoli poveri” e “popoli ricchi” per scoprire che nessuno nel mondo è povero a tal punto da non poter essere un dono per gli altri». È l’ora – afferma convinta – di «scoprire che la povertà degli altri contiene anche delle ricchezza, dei valori che fanno sperimentare quanto gli altri siano indispensabile per la nostra felicità».

 

Guarda ai popoli, la prof.ssa Sanze, ma prende per paradigma la persona. E così argomenta la tipicità del suo approccio: «È solo quando una persona in difficoltà si sente amata e stimata, trattata con dignità, può trovare in se stessa la volontà di uscire dalla piaga della precarietà e rimettersi in cammino».

 

Dal micro ritorna al macro, al rapporto tra gli Stati. «Solo dopo questo primo atto di libertà umana che ogni persona deve compiere, che potranno arrivare gli aiuti, i fondi, i contratti, le relazioni commerciali, come elementi secondari, strumenti che contribuiranno allo sviluppo globale». In buona sostanza, niente di meno di una rivoluzione copernicana chiede la docente centrafricana. Ed è proprio quello l’EdC sta avviando tanto nelle scelte degli imprenditori che ne fanno parte, quanto nel lavoro degli studiosi che stanno ponendo i fondamenti scientifici dell’EdC.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons