La maestà della legge, la Costituzione e i cristiani

La sentenza Mediaset, con la condanna di Berlusconi e le sue varie implicazioni, impone una profonda riflessione su quanto è successo. Un commento
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La condanna definitiva (con il terzo grado di giudizio) di Silvio Berlusconi mostra che esiste ancora in Italia la maestà della legge, il suo primato e la sua signoria rispetto al primato dell’interesse e del singolo interesse. Quello che a volte come esercizio retorico traduciamo nella formula: "La legge è uguale per tutti”. Eguali diritti ed eguali doveri, sotto la signoria della Costituzione, legge fondamentale, legge che fonda la Repubblica italiana.

Nella sua autonomia, la magistratura italiana, dopo un lungo processo, è arrivata a condannare fino al terzo grado di giudizio, dunque definitivo, Silvio Berlusconi, reo di frode fiscale (cioè di avere messo in piedi un sistema) nei confronti della sua stessa azienda Mediaset.

Dunque la Costituzione, riconoscendo l’autonomia della magistratura, ha generato e legittimato questo risultato. Il dato che fa riflettere è che Berlusconi, quando ha compiuto questo reato tra il 2002 e il 2003, era presidente del Consiglio, dunque con il massimo potere politico in Italia. Frodava lo Stato mentre ne era il leader di governo.

Quasi venti anni fa, all’inizio dell’era berlusconiana, Giuseppe Dossetti fece il grande discorso della sentinella, in cui preannunciava l’affermarsi di un principato politico in Italia, con i suoi effetti distorsivi sul piano politico ed etico, fino alla gestione di una vera e propria corte dei miracoli (le notti di Arcore).

La Chiesa ha seguito questa intuizione profetica di Dossetti? In realtà ha seguito un’altra strada. Ha chiuso gli occhi e ha puntato ad un accordo di potere intorno ai “princìpi non negoziabili”, mettendo a disposizione di questo patto movimenti e comunità, nella convinzione che questo avrebbe rafforzato la presenza cristiana nel Paese.

In realtà un fallimento, perché la Chiesa ne ha perso in credibilità e in parola, diventando complice di una discesa agli inferi che il nostro Paese non avrebbe meritato, in termini di rispetto internazionale, di dignità e di concreto governo della cosa pubblica.

E gli stessi cristiani sono apparsi sempre più insignificanti in Parlamento e nel Paese, catturati da un primato del politico di antica memoria. Senza etica e senza speranza, a cercare le briciole che cadevano dal banchetto del grande epulone.

Questa sentenza ci impone di ripensare tutto. Non possiamo tirarci fuori, come se tutto quello che è accaduto non ci riguardasse. Anche i cristiani devono fare penitenza per quanto sono stati corresponsabili di questa drammatica storia.

Papa Francesco ci indica la via della penitenza, che è quella del Vangelo e non “dei princìpi non negoziabili”, formula mai usata fino ad oggi dal vescovo di Roma. Un rinnovato incontro con il Vangelo permetterà ai cristiani di questo Paese una testimonianza pubblica della fede, nel segno non dell’opportunismo, ma della parresia.

Ancora una volta il Vangelo e la Costituzione come lampade al nostro cammino, rendendo visibile la fecondità storica del Vangelo, per ricostruire il tessuto vitale della nostra comunità civile.

Questa è la condizione per tornare ad essere protagonisti del rinnovamento culturale e politico del nostro Paese. Non bastano astuti posizionamenti, ma scelte coraggiose, come fecero i padri costituenti, in un contesto altrettanto drammatico. Riuscirono a fare scelte coraggiose perché non dimenticarono né la preghiera né il Vangelo.

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