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La fotografia di Sebastiano Salgado, un tuffo nell’interiorità umana

di Pasquale Pellegrini

- Fonte: Città Nuova

Pasquale Pellegrini

Il 23 maggio 2025 moriva a Parigi il fotografo brasiliano Sebastiano Salgado. Il suo sguardo sulla natura e sull’umano rimangono in eredità, patrimonio condiviso di cui prendere atto

Mostra “Genesi” del fotografo brasiliano Sebastião Salgado sul lungomare La Zurriola a San Sebastian, nel nord della Spagna, il 26 luglio 2017. Foto: EPA/JUAN HERRERO via Ansa

Dei mille problemi del mondo, letti attraverso la miseria, la povertà, la fame, la distruzione dell’ambiente, nella fotografia di Sebastiano Salgado emerge non quanto è andato perduto o si sta perdendo, ma quanto ancora si può salvare e ricostruire. Quello del fotografo è uno sguardo animato da sentimenti di speranza.

«Non ho perso la speranza – rivela in una intervista a Mario Calabresi – perché la cosa che ci ha reso superiori fino a ora non è la tecnologia ma l’istinto, non è la burocrazia ma la spiritualità, c’è qualcosa di più grande dentro di noi». E quella grandezza si coglie nello sguardo ammirato di fronte ad una umanità in continua ricerca della felicità anche dove la disperazione sembra immensa.  Salgado è parte di quello che vede, sente l’urgenza di appartenere alle immagini che ritrae. «Ho sempre avuto una totale identificazione con la mia fotografia — dice —. Non mi sento un giornalista, un fotogiornalista, un antropologo o un attivista, forse sono tutto questo ma con una sola certezza: è la mia vita».

Sebastian Salgado durante un’intervista alla Fiera del Libro di Francoforte 2019, Germania, il 18 ottobre 2019. Foto: EPA/ARMANDO BABANI via Ansa

Nato ad Aimores, in Brasile, nel 1944, e morto lo scorso 23 maggio a Parigi, Salgado muove i primi passi da economista. Laureato all’università di San Paolo, si sposta a Parigi per un master e subito dopo passa a Londra, dove lavora per la Banca Mondiale del caffè. In Africa, dove la Banca lo ha destinato, inizia a scattare le prime foto. Pochi anni dopo, nel 1973, decide di chiudere con l’economia e di dedicarsi esclusivamente alla fotografia.

Il suo occhio indaga lo spirito dell’uomo nei contesti più disparati, dove il tragico è la cifra caratterizzante. Il fotogiornalismo non può distaccarsi dall’attualità, ma il brasiliano affronta gli eventi superando l’attimo. Dirige l’attenzione al lato meno noto dei fatti, quello che a prima vista non appare mai. «Una costante del suo modo di lavorare – sostiene la storica della fotografia, Alessia Tagliaventi nell’opera Sebastiano Salgado di Mario Calabresi – sarà sempre quella di concedersi il tempo di avvicinarsi alla realtà, di provare a comprendere il più possibile le esistenze di coloro che ritrae». Non scatti rubati, dunque, ma costruiti con la consapevolezza del soggetto. «Non sono spinto dall’idea di fare foto belle o di diventare famoso ma da un senso di responsabilità — precisa il fotografo —. Io scrivo con la macchina fotografica, è la lingua che ho scelto per esprimermi e la fotografia è tutta la mia vita».

Nei suoi reportage, per i quali ha viaggiato in un centinaio di nazioni, ritrae la carestia in Sahel, la rivolta in Portogallo, le guerre in Angola e Mozambico. Per come vive gli eventi, la disperazione del mondo lo attraversa e lo porta alla depressione e all’abbandono della fotografia. Il momento di rottura è il genocidio in Ruanda. «Vidi la brutalità totale — ricorda Salgado —. Vidi persone morire a migliaia ogni giorno e persi la fiducia nella nostra specie. Non credevo che fosse più possibile per noi vivere. Fu a quel punto che mi ammalai».

La guarigione è lenta, passa attraverso un ritorno alle origini, in Brasile. La sua terra, con la sua natura malmessa e ferita, schiude un senso nuovo alla dimensione umana e professionale del fotografo. «Ho ricostruito me stesso e la mia fede nel mondo – dice – e vedo il nostro pianeta sotto un altro punto di vista: so che un equilibrio è possibile». Nasce in quel preciso istante Genesi, il progetto fotografico che celebra la bellezza del pianeta e la lussuria senza pari della sua biodiversità naturale. Non è un progetto estetico, la bellezza è un appiglio per lanciare un grido di aiuto, un richiamo alla mobilitazione delle coscienze urlato e reso palpabile da immagini uniche. Il messaggio è chiaro: la bellezza della creazione chiede all’uomo uno sforzo assoluto per la sua tutela. Salgado se ne occupa addirittura in prima persona, riforestando, mediante l’Instituto Terra, con oltre 2 milioni di alberi, il territorio del Rio Doge. la sua terra.

Genesi, ultima fatica del fotografo, potrebbe essere considerato il completamento di un ciclo iniziato con La mano dell’uomo, un progetto dedicato al lavoro manuale, e seguito da In cammino sull’uomo migrante, che abbandona la propria terra e si sposta dalla campagna alla città, da un territorio ad un altro.

Il linguaggio fotografico di Salgado è assai originale e raffinato. La tecnica delle sue foto è la ricerca di adesione alla sua interiorità, che è essenziale e ben caratterizzata dall’attenzione all’umanità. Il bianco e nero assai contrastato delle sue immagini è usato con grande perizia, in alcune circostanze per separare i primi piani dallo sfondo, in altre per omogeneizzarli affinché l’occhio cerchi in ogni direzione. Per esempio, l’immagine di Serra Pelada, la miniera aurifera brasiliana in cui si accalcano migliaia di uomini, un formicaio, alla ricerca di una pepita.

Nelle immagini di Salgado il nero non è mai fine a se stesso, ma sempre condizionato dal bianco, segno di una visione che insegue la speranza. Accade così che nella foto che ritrae i nomadi affamati in cammino sul lago prosciugato Fagvibin, in Mali, è la luce che rapisce lo sguardo distraendolo dalla donna in nero. «La raffinata costruzione narrativa – sostiene Christian Caujolle, photo editor del quotidiano Libération e fondatore dell’agenzia Vu, citato da Caterina Martino – la cura per l’espressività delle immagini e la capacità di coniugare l’estetica con l’informazione, l’impegno e la politica sono stati i fattori cruciali del suo successo e saranno, sempre, gli elementi distintivi della sua eredità nella storia della fotografia».

Salgado ha insegnato che nell’attualità si può stare in molti modi, quello che conta è cosa si vuol comunicare. Ogni sfaccettatura è importante. Non basta, quindi, puntare l’obiettivo, occorre anche attivare il cuore affinché le immagini esprimano emozioni che segnino nel profondo

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