La fiction di Morgan e quella del Vaticangate

Schizofrenia di tanti mass media, che ormai sembrano aver smarrito per strada il senso della ragione, della misura e della realtà. Ma non è solo colpa dei giornalisti!
morgan

Viaggio non poco nelle strade del mondo. Ad ogni tappa cerco di scoprire la stampa locale, anche se non conosco la lingua, nel qual caso mi faccio aiutare da qualche collega. M’accorgo sempre più che nessun sistema mediatico è immune da pecche, per carità, e nessuno può dare lezioni ad altri, in un sistema d’informazione ormai globalizzato. Ma l’Italia non brilla, va detto, per qualità dell’informazione.

 

Emerge a dire il vero una costante trasversale: il giornalismo del 2010 è costretto a inventare nuovi linguaggi, nuove scadenze e nuove sperimentazioni perché stretto tra televisione e Internet, a cui sempre più fa il verso. La stampa, che da sempre è stata il luogo di principale espressione della vena giornalistica, viene stritolata tra il colosso televisivo, seppur in declino, e l’emergente Web, invasivo anche se non manipolabile come la tv.

 

Sfogliate ad esempio i giornali di oggi, se lo volete e se ne avete il tempo, anche su Internet. A parte i problemi giudiziari-legislativi del premier e l’annunciata udienza al Dalai Lama da parte di Obama, due sole notizie attirano l’unanime attenzione nelle prime pagine: il presunto Vaticangate che coinvolgerebbe Vian e Boffo, oltre ai presunti prelati “protettori”, e la sortita di Morgan (quello di X-Factor) sull’uso che farebbe di cocaina. Puzzano da lontano, ma da molto lontano, di fiction. E forse proprio per questo attirano: senza una buona dose di fiction il pubblico, gli utenti, cioè noi, non sappiamo più resistere. Ci manca l’ossigeno (o lo smog?) dell’irrealtà.

 

Fiction che, proprio perché irreale, passa come un’onda, che per quanto devastante sia, scompare nel momento stesso in cui i suoi danni li fa. Fiction, inoltre, che gode ad ingarbugliare le matasse, a inventare falsi scandali per poi smentirli, a far diventare vittime i carnefici e viceversa. Fiction, ancora, che impedisce di mettere in prospettiva gli avvenimenti – la realtà! –, dando loro il giusto valore storico. Infine, fiction che non permette di dare una gerarchia agli avvenimenti, e che quindi relativizza tutto. Il relativismo della fiction è devastante.

Realtà è la fuga da Haiti, è la minacciata chiusura dell’Alcoa, è l’indifferenza che avvolge la piaga dell’aborto, è il razzismo che cresce. Non è Morgan, per favore!

 

p.s. La colpa non è solo della categoria dei giornalisti, tacciata con una certa superficialità di essere ricca e spregiudicata. Entrate in una qualunque redazione e costaterete come ormai i giovani che s’avvicinano all’ambita professione paiono più un proletariato precario che una lobby di privilegiati. Per vivere sono costretti a scrivere tre o quattro pezzi al giorno, in media diversissimi tra loro, senza avere il tempo né di controllare la realtà dei fatti, né di curare il loro linguaggio, né di documentarsi su quanto scrivono. Le responsabilità vanno cercate più in alto.

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