La difficile integrazione inizia a scuola

L'accoglienza di chi ha un colore della pelle differente e parla un'altra lingua comincia tra i banchi, ma gli adulti a volte faticano ad accettarla
Compagni di scuola

Parte dalla scuola il primo vero modello di integrazione. D’altra parte la società italiana è ormai un misto di etnie. Basta attendere, davanti a una scuola qualsiasi, il suono della campanella che annuncia la fine delle lezioni per essere travolti da una folla multietnica, che corre a raggiungere la mamma o il papà che li stanno attendendo.

Piaccia o no, la scuola italiana dovrebbe insegnare anche l’integrazione e la bellezza della diversità culturale: si comincia dai ragazzi delle materne e si prosegue con le elementari e così via. L’innocenza dei bambini supera sempre la differenza di colore della pelle, la pronuncia e la diversità. Non sempre è così, però, per alcuni genitori. Anche se nelle aule sta crescendo quella che sarà l’Italia di domani, infatti, non sempre la diversità viene accettata dagli adulti con facilità.

Qualche difficoltà in tal senso è stata incontrata ad esempio in qualche paese del Nord Italia, là dove la cultura locale, ricca di storia e tradizioni legate al territorio, è ancora fortemente compatta, resa impenetrabile da usi che la aprono al nuovo, ma che al tempo stesso spaventano.

La paura del nuovo, del diverso, infatti, è sempre in agguato. In perfetta buona fede si è pronti a difendere, costi quel che costi, il proprio feudo. «Faccio fatica a lasciare mio figlio in classe con ragazzi che non sono italiani», è lo sfogo di un papà milanese. Lo informiamo che “quei ragazzi” sono italiani a tutti gli effetti, figli di cittadini stranieri, sì, ma nati nel nostro Paese. Ma non è facile intendersi su quest’argomento.

Nora accompagna Serena in seconda elementare. È arrivata qui dal Perù, fa la badante, e ci racconta: «Le amichette di Serena sono tutte italiane, lei si trova molto bene, va spesso a casa loro e loro vengono spesso a giocare da Serena. Con i genitori l’aria è distesa, però quando stiamo insieme devo dimenticare ogni mio modo di fare peruviano, altrimenti so che farei soffrire qualche mamma».

Per Bepi, nonno di Loris, «chi arriva in Italia, o accetta i nostri modi di fare o se ne deve andare in un altro Paese. L’integrazione è questa». «Forse – interviene Sally del Camerun – c’è un modo ancora migliore per vivere in pieno l’integrazione: quello di rinunciare entrambi a qualcosa. Cioè, se io rinuncio a qualcosa di tipico mio, e tu, Bepi, a qualcosa di tipico tuo, possiamo vivere sereni, non ci manca nulla, anzi ci arricchiamo entrambi di un rapporto più vero tra noi».

Ma se nella lombarda Costa Volpino si sono dovuti spostare dei bambini da una scuola all'altra, perché una classe aveva 14 ragazzini figli di extracomunitari, che neanche sanno di essere diversi, contro 7 italiani, significa che qualche problema ancora esiste. La ricetta che suggerisce allora il ministro per l'integrazione Kyenge è quella di «far crescere i nostri figli con la trasparenza e l'ingenuità che è loro». Con un invito agli adulti a «rileggere "Il Piccolo principe", che ci richiama a capire cosa vogliono i nostri figli».

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