La devozione ad Agata nella danza di Zappalà

Una tappa del progetto "Re-mapping Sicily", con cui il coreografo vuole rileggere la sua terra
Compagnia di danza Zappalà

A partire dal gesto e dalla performance del corpo nella sua relazione con il suono, il rumore, la musica e mantenendo uno stretto legame con la sua terra, il coreografo Roberto Zappalà, nome di punta della danza contemporanea italiana e non solo, traccia da anni, col progetto “Re-mapping Sicily”, un percorso che intende rileggere la Sicilia attraverso il suo linguaggio scenico.

 

L’operazione si snoda attraverso eredità culturali iconografiche, contesti folkloristici, tradizioni culturali e abitudini comportamentali. Immaginare, concepire e costruire uno spettacolo su Sant’Agata, la sua processione e festa a Catania, oltre a proporre un’identificazione città, popolo, santa, è stato volere soprattutto indagare a fondo un aspetto fondamentale dell’oggi: il rapporto che si ha con il sacro, la religione, la religiosità.

 

Lo spettacolo “A. Semo tutti devoti tutti?” – vincitore nel 2009 del premio Danza&Danza quale miglior spettacolo dell’anno – è nato dalla necessità di affrontare una serie di nodi cruciali riguardanti il vivere in una comunità e l’esserne parte integrante. Dall’altra parte si vuole indagare e sviscerare il sentimento di appartenenza che una società secolarizzata e medializzata prova verso Dio, la religione, il trascendente. Un rapporto che si configura in due aspetti opposti e complementari; quello privato e quello pubblico, due facce della medaglia di un’ambiguità fondamentale che non è possibile chiarire.

 

Come se il credente (siciliano e non) fosse condannato a questo paradosso: rendere pubblico il proprio fervore mistico, la propria devozione come l’unico modo di manifestare la propria religiosità, ma così facendo rischiare di snaturarla o addirittura di cancellarla. Lavorando sui simboli, depurati e trasformati in elementi astratti, Zappalà innesca una danza tutta al maschile, energica, ossessiva, isterica, accellerata e subito rallentata, dove l’isteria religiosa è raffrontata col fanatismo sportivo citando quello per il Catania e le sue tragiche cronache di qualche anno fa.

 

Sulla scena illuminata da potenti fari Zappalà utilizza un apparato iconografico tradizionale per farlo sposare con il moderno, con la contemporaneità, originando contrasti e cortocircuiti per proporre nello scenario arcaico e contemporaneo della festa religiosa le contraddizioni di un mondo dove a essere “straziati”, sono intere tipologie umane e concettuali. Il coreografo getta così uno sguardo profondo e rivelatore su quello che ci fa “essere”, nel bene e nel male, quello che siamo, che siamo stati, che rischiamo di essere. E l’interrogativo del titolo lascia trapelare, nel finale, il dubbio se la reale natura di quella festa non abbia, nei suoi molti risvolti, infiltrazioni in odore di mafia.

 

La Compagnia Zappalà Danza, reduce da un grande successo in Messico, Lituania, Portogallo, sarà alle Fonderie Limone Moncalieri di Torino per il festival “TorinoDanza”, il 16 ottobre.

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