La Costa Concordia è riemersa

Dopo quasi 20 ore di lavoro, il transatlantico finito sugli scogli dell'isola del Giglio venti mesi fa è stato staccato dagli scogli e riportato in posizione verticale. Una riflessione
Costa Concordia

Dopo venti mesi ci siamo, l’immenso scafo della Costa Concordia si è staccato dalle rocce dove si era avvinghiata come una immensa cozza albina e, dopo aver ruotato sul suo asse longitudinale in un lento, impressionante e – speriamo – definitivo rollio, è tornata in posizione verticale. Un'operazione titanica, un mare di parole, finalmente «l’Italia che funziona» e stavolta fa bella figura, 350 giornalisti accreditati, fiato sospeso.

Sentivo a un Tg che «i gigliesi non hanno partecipato», e se ne sono stati a casa loro. E vorrei vedere! Ma certo – ne ho testimonianza dal racconto diretto di alcuni di loro – che la solidarietà degli isolani nel momento della tragedia era stata straordinaria. Ma ora basta, questa gente non vede l’ora che cali il sipario di questa farsa finita in tragedia.

Nel luglio dell’anno scorso sono arrivato al Giglio su una piccola barca a vela con vecchi amici di laggiù, che mi avevano invitato. Partenza da Talamone, per due giorni di rada al Campese. Il bestione ancora lì: assurdo, incongruente, una presenza triste e quasi oscena. Nel silenzio della nostra navigazione – il cielo terso, le acque cristalline, l’aria tiepida e gravida del profumo della macchia mediterranea che il vento ci faceva arrivare – la percezione dell’assurdità di quanto accaduto cresceva mano a mano che ci avvicinavamo all’isola, fino a che si è fatto palese quanto quel mostro spiaggiato avesse mutato la linea di costa e violentato un paesaggio noto e amato. E al dolore per le perdite umane si è associata la rabbia per questa ferita inferta dalla stupidità umana a quel minuscolo gioiello di isola.

Il mare – come la montagna, come le foreste, come tutta la natura – è un ecosistema fragilissimo, anche se generoso. Eppure continuiamo ad approfittarne, senza ritegno. Lo usiamo come discarica, come pattumiera, come serbatoio da poter razziare senza criterio, mettendo a repentaglio la sopravvivenza di molte specie animali, alla faccia di tutte le Greenpeace del mondo e di chi di mare ci campa e perciò lo ama, come i pescatori. Ma anche di tutti noi, che in crociera magari non possiamo andare, ma ci piacerebbe fare ancora il bagno su spiagge pulite. Discorsi che sembrano teorici, finché non ti vedi squadernato davanti un gigante così, e allora le cose cambiano. 

Per questo spero – e immagino che siamo in molti a sperarlo – che di questa vicenda restino impresse nella nostra memoria collettiva non tanto le pur affascinanti tecniche di recupero e di raddrizzamento, ma ben altre verità: la coscienza che con le vite umane non si scherza mai, soprattutto in mare. Che il rischio di disastro ambientale che abbiamo corso ci sia di monito e spinga la comunità internazionale (e non solo quella italiana) a perseguire politiche ancora più severe di tutela del meraviglioso ambiente marino. Immaginate solo se al posto di una nave da crociera ci fosse stata una petroliera!

E soprattutto per ricordarci che “gli inchini” è bene non farli mai, di fronte a nessuno, se non davanti al Padreterno. 

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