Kevin Spacey, regale e magnetico

Unica tappa italiana al Napoli Teatro FestivalIl per il Riccardo III interpretato dal celebre attore. Un successo non solo di pubblico
Kevin Spacey Photo by Manuel Harlan

Il Napoli Teatro Festival Italia ha chiuso la seconda tranche della rassegna aggiudicandosi l’unica tappa italiana della tournée mondiale del Riccardo III di Shakespeare, del londinese The Old Vic, con protagonista Kevin Spacey – direttore artistico del celebre teatro – e la regia di Sam Mendes (entrambi premi Oscar per l’acclamato film American Beauty). Ed è stato evento: pubblico in piedi e standing ovation. Un autentico trionfo. Che non ha nulla a che fare col richiamo dei nomi, schivi ad ogni forma di divismo, ma solo con la semplice bravura del mestiere (ne avrebbero da imparare, per entrambi gli aspetti, gli attori nostrani!). L’attore infatti ha evitato interviste (pochissime quelle concesse) e giornalisti, per non distrarre il pubblico da altro che non fosse la rappresentazione, e ritenendo non ci fosse nulla di importante da dire se non quello che si sarebbe visto in scena.

 

Perfetto nella maschera cinica e crudele, l’attore newyorkese – il Kaiser Soze, imperturbabile, misterioso boss criminale dell’indimenticabile film I soliti sospetti – incarna superbamente, come raramente capita di vedere a teatro, l’ascesa al potere del malefico duca di Gloucester, il deforme fratello del re Edoardo IV, diventato sovrano a furia di assassinii persino di famigliari. Calcolatore astuto e manipolatore di anime, costringe i nobili ad incoronarlo diventando Riccardo III. Seguiranno due anni di sanguinosa reggenza, fino all’epilogo che lo vedrà ucciso in battaglia dopo la fatidica frase “Un cavallo! Il mio regno per un cavallo!”. Mendes lo fa appendere a testa in giù, come animale da macello: archetipo della tragica fine, di ieri e di oggi, di tutti i tiranni.

 

Nel moderno adattamento del regista, l’atmosfera che si respira rimanda alla trasposizione del film di Richard Loncraine del 1995 con Ian McKellen. Lì era circondato da truppe in uniforme ed esaltato da cerimoniali che ricordavano quelli del Terzo Reich. Qui il rimando è più attuale, ai molti dittatori moderni e leader politici corrotti. Perché la guerra è sempre uguale, in ogni dove e in ogni tempo, e l’avidità del potere non muta nelle sue drammatiche caratteristiche e nelle sue nefaste conseguenze. Una messinscena chiara e potente, dominata da attori d’altissimo livello, in eleganti abiti contemporanei, alcuni in più ruoli. E tutti in impermeabili scuri e giornali in mano a simulare il popolo che, dentro il metrò, commenta l’avvenuta incoronazione del re. E tutti, ancora, a percuotere i tamburi in una coreografia, prima di cerimonia, poi di guerra, dentro la scena chiusa di diciotto porte, che s’allunga in profondità nella seconda parte con immagini proiettate di nuvole in movimento e il volto ingigantito del despota che campeggia sia in fotografia che  in video nella sequenza in cui, falsamente ritirato in preghiera, viene adulata la sua statura morale in un comizio al microfono e pregato di assumere la gravosa responsabilità delle redini del regno.

 

Di pregnanti e semplici invenzioni sceniche, la trama è scandita da scritte luminose con i nomi dei diversi personaggi che, ad ogni quadro, entrano in scena nel loro relazionarsi con il tiranno. Rivolto continuamente verso il pubblico, quasi a volerlo sedurre come fa con tutti i protagonisti della corte, il magnetico Riccardo-Spacey mantiene la fisicità piegata di “zoppo deforme” con un tutore alla gamba e un bastone d’appoggio, senza lasciar trasparire la fatica. Ed è un successo anche personale per l’attore che non si risparmia nelle tre ore e più di spettacolo, facendo risuonare alta e viva la parola di Shakespeare.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons