Jeff Bezos e il Washington Post

Il fondatore di Amazon ha acquistato uno dei giornali più prestigiosi (e indebitati) del mondo. Famoso per la sua rapidità decisionale, contrariamente alle attese Bezos non ha però finora cambiato nulla. Forse sta mettendo in pratica l’altra sua caratteristica: saper ascoltare
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Una delle notizie più interessanti di quest’estate è che Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, uno degli uomini più influenti della new economy, ha acquistato il Washington Post. Il celebre quotidiano americano, quello del caso Watergate per capirci, era proprietà della famiglia Graham da quattro generazioni, ma negli ultimi anni ha avuto grossi problemi economici: le entrate del gruppo sono crollate del 44 per cento e, nel solo 2012, le perdite sono state di circa 53 milioni di dollari.

I numeri del Washington Post fotografano una situazione comune a quasi tutta la stampa e l’editoria mondiale, perlomeno quella di impianto tradizionale, dopo l’avvento di internet e delle tecnologie digitali, le quali hanno ridisegnato le abitudini dei lettori e messo in discussione tutto il sistema dell’informazione.

Jeff Bezos, per sua stessa ammissione, non ha alcuna esperienza editoriale. Ha dichiarato alcune settimane fa: «Saremo in territorio sconosciuto e dovremo sperimentare». Questa sperimentazione è quello che rende l’ingresso di Bezos nell’editoria una delle notizie più interessanti delle ultime settimane.

Alcuni immaginano che Bezos utilizzerà il brand del Washington Post per commercializzare prodotti non editoriali; altri che aumenterà i livelli di interazione  del quotidiano, soprattutto quello on-line, tra giornalisti e lettori; altri ancora che sarà capace di integrare i modi di fare informazione di cartaceo e digitale. Chissà.

Oltre ad essere il creatore di Amazon, Bezos è noto per aver inventato il kindle, il dispositivo di lettura di ebook che sta influenzando il modo di pensare, produrre e leggere libri (sarebbe forse meglio dire "contenuti") in tutto il pianeta. È quindi comprensibile, ora più che mai, che tutti guardino a lui per capire come sarà il futuro dell’informazione. A partire dai dipendenti del Post, a cui le sue prime mosse potrebbero già aver detto qualcosa sui suoi progetti e sul suo modus operandi. Finora infatti, non ha fatto assolutamente nulla. Non ha licenziato nessuno e dice di non avere intenzione di farlo, non ha modificato il management dell’azienda e ha confermato come direttore Martin Baron.

La cosa potrebbe apparire strana, anche alla luce del fatto che il creatore di Amazon è l’ideatore dell’ormai nota strategia di management «ready, fire, steer» (pronto, parti e dirigi), ossia prova a realizzare qualcosa, poi avrai il tempo di correggere il tiro. Bezos è un convinto sostenitore del fare senza meditare troppo sugli obiettivi e, per promuovere tale inclinazione, in Amazon ha istituito il premio Just Do It (Fallo e basta!), assegnato agli impiegati che realizzano qualcosa di buono per la società senza il permesso del proprio capo.

Ma bisogna considerare che Bezos vuole sperimentare e la sperimentazione richiede tempi lunghi e fondi (che a lui non mancano) e che, oltre ad essere famoso per agire senza avere un piano ben preciso, perlomeno all’inizio, Bezos è noto anche per un’altra qualità, spesso sottovalutata (soprattutto nel mondo dei media e dei giornali): l’ascolto.

Questa dote potrebbe spiegare l’apparente immobilismo iniziale al Post ed essere preziosa per il suo nuovo ruolo di editore perché, come ha scritto Arianna Huffington, la fondatrice del noto blog, «le notizie sono una costante conversazione a due vie. E, come in ogni conversazione, ascoltare è ugualmente importante che parlare. E Amazon è un monumento al potere dell'ascolto».

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